Celebrare le Prime Comunioni

Tempo di Pasqua, tempo di prime Comunioni, o – per essere più precisi – tempo propizio per celebrare la prima partecipazione piena dei fanciulli all’Eucaristia. Non è solo il bel tempo della primavera a consigliarlo: è soprattutto il legame con la Pasqua di Risurrezione a evidenziare il legame tra il culmine eucaristico e la sorgente battesimale. Eppure l’alta concentrazione di celebrazioni nel tempo pasquali fa sì che non di rado alcune comunità scelgano altre soluzioni, alcune delle quali legittime (la celebrazione in una domenica del tempo ordinario), altre espressamente sconsigliate dai libri liturgici. È il caso delle prime Comunioni celebrate nel tempo della Quaresima, o il Giovedì santo: “Salvo casi eccezionali, è poco appropriato amministrare la prima comunione il Giovedì Santo «in Cena Domini». Si scelga piuttosto un altro giorno, come le domeniche II-VI di Pasqua o la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo o le domeniche «per annum», in quanto la domenica è giustamente considerata il giorno dell’Eucaristia” (Istruzione Redemptionis Sacramentum del 2004, n. 87).
Alle origini di diverse scelte pastorali da parte delle comunità parrocchiali stanno differenti situazioni di partenza di cui tenere conto con saggezza, che impediscono una soluzione univoca: grandi o piccoli numeri, chiesa piccola o più capiente, abitudine dei parenti a partecipare all’Eucaristia, presenza o meno dell’assemblea eucaristica abituale… Dietro le soluzioni più diverse, è bene cogliere e talvolta mettere in discussione le motivazioni soggiacenti: chi cerca di integrare la celebrazione nell’assemblea domenicale, chi di proteggere quest’ultima dall’invasione di parenti e fotografi; chi vuole sbrigare la pratica il più fretta possibile (tutti insieme, in un’unica celebrazione), chi si impegna per valorizzare appieno l’importanza del Sacramento.
Un punto delicato è l’equilibrio necessario tra una doppia orientazione: al Mistero celebrato e all’assemblea concreta, in modo particolare ai fanciulli e ai parenti coinvolti. La Messa della Comunione solenne è certo chiamata a coinvolgere il più possibile fanciulli e parenti: eppure tale coinvolgimento non può avere come prezzo da pagare quello di un impoverimento della celebrazione, trasformata in qualcos’altro (catechesi, spettacolo…). Si coinvolge, insomma, perché si partecipi al Mistero. Tale equilibrio è tanto più delicato in un tempo di narcisismo e protagonismo eccessivo di piccoli e grandi, per cui la liturgia, anziché essere “epifania di Dio”, rischia di diventare “epifania dell’io” ingombrante del fanciullo che si esibisce nella preghierina letta davanti a tutti, della catechista tuttofare, del prete mattatore.
Nell’arduo compito di tener conto delle esigenze di tutti – i fanciulli e le loro famiglie, spesso attente e bendisposte; i parenti, talvolta distratti e distraenti; la comunità domenicale, talvolta diffidente e scettica – ci pare di incoraggiare una pratica che si va sempre di più diffondendo: quella di distribuire i fanciulli nelle diverse domeniche del tempo Pasquale, all’interno della Messa comunitaria, valorizzando le risorse del rito eucaristico domenicale, e – per quanto possibile – creando in anticipo le condizioni per non essere disturbati (da fotografi, telefoni cellulari, parenti che si muovono…). Il numero discreto di famiglie coinvolte dovrebbe garantire il normale svolgimento della celebrazione, che evidenzia meglio il carattere comunitario dell’Eucaristia. Essa, infatti, non è solo comunione individuale al corpo di Gesù, ma pure piena introduzione/iniziazione al corpo comunitario della Chiesa.
Don Paolo Tomatis
 
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