Confermazione: per una buona presidenza della celebrazione

 Per una buona celebrazione del sacramento della Confermazione, è necessario che ciascuno svolga bene il proprio compito, a partire da chi è chiamato a presiedere. Sia che si tratti del vescovo, sia che si tratti del suo delegato, a colui che presiede è richiesta anzitutto una capacità di sintonizzarsi con la comunità che incontra, perché tutto si svolga con ordine, per l’edificazione dell’assemblea, come direbbe san Paolo (1 Cor 14,26). Alcune cose non deve farle lui (chiedere il silenzio, sgridare i fotografi…): è bene però che siano previste in anticipo, così che non ci si ritrovi, ad esempio, con fotografi “ufficiali” che scattano fotografie lungo l’intera celebrazione (anziché solo nel momento della crismazione). Sappiamo come questo sia motivo di disturbo e, se non si interviene prima, durante la celebrazione è poco opportuno. Per concordare le principali attenzioni da prestare, potrà essere utile in futuro un piccolo “vademecum” che aiuti parrocchie e crismatori a convergere nella preparazione di una buona celebrazione.

Intanto una buona presidenza non s’improvvisa e richiede una certa capacità di coinvolgere l’assemblea nel Mistero celebrato. In questione non è solo l’omelia, ovviamente, anche se dalle comunità provengono consigli ai crismatori di essere brevi, di non voler dire tutto, facendo in sintesi la catechesi della cresima che già hanno svolto, oppure soffermandosi in modo pedante ed eccessivo su tutte le letture, aggiungendo il significato del rito, e concludendo con gli impegni per il dopo-cresima (risultato: tre prediche in una). Il giusto equilibrio tra un’omelia fresca, rivolta ai ragazzi, e un’omelia “profonda” (pur nella concretezza) rivolta agli adulti è inoltre gradito, se non nel risultato finale, almeno nello sforzo.

Il momento decisivo del dono sacramentale va poi preparato con molta cura, perché il silenzio che accompagna l’imposizione delle mani sia denso di preghiera; perché la preghiera di imposizione delle mani, nella quale convergono i sacerdoti concelebranti, sia fatta con intensità e concentrazione, in modo non frettoloso; e soprattutto perché il gesto della crismazione non sia disturbato da introduzioni inutili e sia effettivamente personale. Non si tratta di mettersi a parlare con ciascuno dei ragazzi e dei padrini e madrine: non è il momento di fare i “simpaticoni”, né di tirar fuori una parola per ciascuno, che rischia facilmente la retorica dei “Mi raccomando” o “Il Signore ti accompagni”. È sufficiente e tuttavia necessario che il nome sia pronunciato con forza e verità, in una relazione di sguardo e di contatto davvero personale, ricordando che il ministro che conferisce il sigillo è “tramite” di colui che conferma, il Padre, attraverso il suo Spirito. Il gesto si compia senza fretta: se poi il segno del crisma non è mortificato da batuffoli di cotone, anche il gesto sacramentale del sigillo sulla fronte esprime meglio la sua forza simbolica. Alcuni crismatori chiedono al coro di non cantare durante il momento della crismazione: l’effetto è normalmente quello di una maggiore attenzione di tutti al gesto compiuto su ciascuno. Là dove si sceglie di accompagnare con un canto, a motivo del grande numero di cresimandi, sia molto discreto e assolutamente non “chiassoso”.

Altri gesti e altre preghiere, che di tanto spuntano in qualche comunità, difficilmente aiutano a entrare nel Mistero e a dimorare nella grazia del rito. Alcuni sono superficiali (pezzi di carta da attaccare subito dopo aver ricevuto la cresima, con scritto sopra i frutti dello Spirito; fascette sulla fronte che fanno pensare a karate-kid…), altri dannosi, come quando si cambiano le domande e i contenuti della professione di fede, per renderla più attuale e interessante. Se non si rischia l’eresia, perché – come dicevano i nostri professori di teologia – per essere eretici bisogna essere intelligenti, si rischia di dire stupidaggini. Perché non fidarsi della sobria sapienza della Chiesa?

don Paolo Tomatis

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