La Veglia per il defunto

Stiamo scorrendo la nuova edizione del Rito delle Esequie, per evidenziarne le principali novità. Nella prima tappa dell’accompagnamento rituale del lutto, organizzata intorno al luogo simbolico della “casa”, abbiamo già incontrato l’inserimento di un breve momento di preghiera in occasione della visita alla famiglia del defunto. Una seconda novità è presente nel paragrafo finale del primo capitolo, intitolato “Preghiera alla chiusura della bara”. Non si tratta di un paragrafo nuovo, giacché era già presente nella precedente edizione. La sequenza rituale è tuttavia stata rivista e arricchita, per vivere alla luce della parola di Dio e nel clima della preghiera il delicato e doloroso momento della chiusura della bara, quando il volto del defunto scompare per sempre alla vista dei familiari.
 
Il rito, che può essere presieduto dal ministro ordinato, oppure guidato da un laico o da un familiare debitamente preparato (n. 42), è molto semplice: una monizione introduce il gesto tradizionale di stendere un velo bianco sul volto del defunto, accompagnato da un’antifona (legata al tema dell’anima che anela a vedere il volto di Dio) e da un’orazione (quattro, a scelta), costruita intorno al parallelismo tra il volto del defunto che scompare alla vista, il volto di Dio che ora può contemplare, e il volto del defunto che un giorno potrà di nuovo essere visto trasfigurato: “Mentre il suo volto scompare al nostro sguardo donaci la sicura speranza che un giorno lo vedremo trasfigurato nella tua dimora di luce e di pace”. La preghiera richiede un’intesa con l’agenzia delle pompe funebri che dovrà attendere la conclusione della preghiera, prima di procedere alla chiusura della bara.
Lo spirito di fondo di questo momento rituale, come dell’eventuale processione verso la chiesa con il corpo del defunto (Rituale III, 2), è quello dell’accompagnamento costante della Chiesa nel segno della carità, che intreccia parole di consolazione e parole di preghiera, gesti di attenzione pratica e gesti rituali. Momento culminante di tale prossimità orante è la veglia funebre, che può svolgersi tanto nella casa del defunto, quanto in chiesa o in altro luogo: la proposta del Rituale, a questo proposito, incoraggia fortemente la struttura della Liturgia della parola, che meglio permette di orientare il mistero della morte alla Pasqua del Figlio morto e risorto (Rituale, 32). L’ascolto delle letture bibliche, insieme alla professione del Credo, illuminano il significato cristiano della morte (Rituale, 37), senza però risolverne troppo in fretta l’enigma, ignorando il naturale senso di confusione e di afflizione. La sobrietà della parola omiletica, insieme alla possibilità di una preghiera litanica come il santo Rosario, possono essere di aiuto per sostare nel mistero della morte, nell’attesa della celebrazione “pasquale” delle esequie. Non si tratta di trattenersi dall’annunciare il Mistero della Vita e della Risurrezione: si tratta di saper sostare nel dolore, senza risolverlo troppo in fretta con le nostre parole rassicuranti. In questo contesto, può essere anche accolta, con la giusta misura, quell’esigenza di personalizzazione che intende fare memoria della vita del defunto, liberando così la celebrazione liturgica dal pericolo di essere soffocata, o peggio smentita, da testimonianze e prese di parole estranee all’orizzonte cristiano. L’ampia possibilità di scelta tra orazioni, letture, antifone e canti richiede una capacità di discernimento, una certa conoscenza del defunto e della famiglia, una familiarità con i testi biblici proposti dal Lezionario. In sintesi, la veglia funebre, così come è proposta nel Rituale, non si presta ad essere utilizzata senza una qualche preparazione e adattamento.
Ufficio Liturgico diocesano
 
 
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