L’INSEGNANTE DI RELIGIONE E LA COMUNIONE CON LA CHIESA LOCALE

L'Arcivescovo di Torino, Mons. Cesare Nosiglia agli insegnanti di religione cattolica

1. Una domanda interessante

La posizione dell’insegnante di religione (IDR) ha assunto, negli ultimi anni, una sempre più marcata caratteristica sul piano professionale. Ciò assicura certamente maggiore stabilità, sicurezza e responsabilità all’IDR nella scuola. Ma, come in ogni fatto positivo, c’è sempre il rovescio della medaglia, per cui si vanno accentuando anche elementi non del tutto confacenti al servizio dell’IDR. Mi riferisco, ad esempio, all’isolamento che nasce da una autoreferenzialità, che scaturisce dal sentirsi protagonisti a tutto campo del proprio oggi e del proprio domani.
Il riferimento alla Chiesa e alle comunità locali in cui è situata la scuola può allora allentarsi sempre più e lasciar prevalere gli aspetti più propriamente e strettamente professionali ed amministrativi, rispetto a quelli spirituali ed ecclesiali, che pure qualificano l’essere dell’IDR. Ci chiediamo allora: in questa nuova stagione che cosa qualifica, sostiene e concretizza di fatto la comunione dell’IDR con la Chiesa? Che cosa significa per un IDR essere e vivere il proprio servizio nella scuola come docente alla pari, a tutti gli effetti, con gli altri insegnanti, ma pur sempre legato ad una diocesi attraverso l’idoneità ricevuta dal vescovo? E come l’insegnante di religione può collaborare con animatori, catechisti e operatori parrocchiali o di associazioni e movimenti ecclesiali presenti sul territorio?

2. “Essere insegnante di religione” nella scuola

Partiamo da un’acquisizione di principio: il servizio che l’IDR svolge nella scuola ha una natura ed una finalità culturali, che esigono una precisa professionalità docente, ricca di umanità, di formazione appropriata e di forte passione educativa. C’è tuttavia un aspetto peculiare dell’identità dell’IDR, che, a volte, è dato per scontato e che invece risulta alla lunga il più decisivo per dare significato e valore alla sua funzione docente. Riguarda non tanto il sapere e il saper fare, ma l’essere docente di religione per un esplicito, riconosciuto “mandato” da parte della Chiesa, come parte integrante della sua professionalità. Il lavoro per formare – e in modo permanente qualificare – un IDR sul piano teologico, culturale, pedagogico e didattico resta determinante, ma altrettanto lo è lo sforzo che il docente stesso deve fare in prima persona per rimotivare e sostenere una specifica “coscienza professionale”, che lo abiliti non solo al fare, ma all’essere insegnante ed IDR nella scuola, per incarico ricevuto dalla Chiesa di cui fa parte.
Quando parlo di coscienza professionale specifica mi riferisco alla dimensione vocazionale propria, in fondo, di ogni docente, che ispiri il suo lavoro alla fede in Cristo e ai valori del Vangelo. Valori, come sappiamo, di gratuità intesa come risposta ad una chiamata e dono di Dio, vissuta nel lavoro quotidiano e nella passione di fare del proprio insegnamento una risposta piena, convinta e gioiosa al compito che gli è stato assegnato. Credo che questo valga per ogni docente e per ogni cristiano, in certa misura, ma per l’IDR acquista un tono ed uno spessore particolari, in quanto la disciplina che insegna appella continuamente alla questione del senso e della verità, ne fa oggetto di studio e di conoscenza, ma anche di proposta che risuona dentro l’anima di chi sa di essere comunque maestro, perché discepolo dell’unico maestro, che è il Cristo.

3. Vocazione e “ministerialità”

A questo aspetto, diciamo, vocazionale, si affianca subito l’altro – altrettanto decisivo – della ministerialità ecclesiale, di cui è intriso l’essere del docente di religione. E ministerialità dice riferimento alla Chiesa locale e al vescovo da cui l’IDR ha ricevuto l’incarico attraverso lo strumento dell’idoneità, che ne riconosce non solo le necessarie abilità, ma anche la coerenza di fede e di vita cristiana, che devono accompagnarne poi la concreta realizzazione dell’insegnamento.
Più volte abbiamo sottolineato e ribadito con forza che l’idoneità è un processo, un cammino, che non si chiude con il decreto ed il certificato che la riconosce, ma permane come fattore di comunione da cui il docente può trarre elementi di un costante stimolo e rinnovamento nel dialogo ecclesiale e nel sentirsi unito a quella comunità da cui trae la ragione stessa del suo essere docente di religione. C’è un ambiente vitale, entro cui il docente si è formato, che deve continuare a dare i suoi frutti anche durante la docenza e deve irrobustirsi attraverso modi e forme sempre più concreti di interscambio di doni, anche spirituali oltre che pastorali.
Quando parlo di Chiesa mi riferisco non solo alla diocesi, ma anche alla comunità territoriale dove il docente esercita il suo servizio. Il raccordo scuola-territorio, così chiaramente orientato dalla riforma dell’autonomia, potrà trovare vie e metodi appropriati, rispettosi della scuola e delle realtà educative territoriali, che interagiscono con essa, in primo luogo famiglia e parrocchia, proprio a partire da questo valore di ministerialità vissuto in prima persona dal docente di religione. Solo una rete educativa di base, che accompagni la crescita delle nuove generazioni, potrà permettere anche alla scuola di raggiungere in pieno le proprie finalità. L’isolamento, di cui soffre oggi, ed una certa autoreferenzialità danneggiano non solo la scuola, ma anche l’intero sistema educativo, accentuano la delega da parte delle famiglie, danno l’idea ai giovani di una scuola più preoccupata di perpetuare se stessa che di servire la loro crescita e il loro futuro.

4. Alcuni obiettivi e proposte concrete di lavoro in comunione con la diocesi

Questo discorso di principio deve misurarsi con le scelte che la nostra Chiesa locale sta facendo, particolarmente in campo educativo e di pastorale giovanile. A queste è necessario che voi IDR offriate il vostro efficace contributo, perché siano accolte e attuate. Mi riferisco al rapporto:
– con il vescovo. Mi auguro che questi incontri e quelli che tengo nelle scuole, in occasione della visita pastorale, servano anche a farci conoscere sempre meglio. A tal proposito, ringrazio tanti insegnanti di religione, che hanno via via preparato i miei incontri con gli alunni delle scuole che ho incontrato durante la visita finora compiuta. Desidero sottolineare che la mia visita non si svolge sotto il profilo confessionale in senso stretto, ma culturale e valoriale (i valori della Costituzione e quelli che la scuola è chiamata a trasmettere). Per cui, non si comprende perché la visita del vescovo sia a volte, da alcuni docenti, considerata un’ingerenza della Chiesa in una scuola laica. La laicità positiva esige il confronto e dialogo con tutte le componenti della società, tra cui non si può certo negare che non abbia un peso specifico per le nuove generazioni la religione cattolica, e, vista la presenza anche di alunni di diverse religioni, con ogni altra che la scuola volesse interpellare per farla loro conoscere meglio;
– con il direttore dell’Ufficio diocesano, necessario per stabilire un sereno dialogo, che, oltre a riguardare il proprio lavoro, si arricchisca anche di una mutua conoscenza e di un rapporto leale e sereno, direi fraterno e amicale;
– con gli altri colleghi di religione, perché in diocesi cresca una comunità di IDR affiatata, qualificata, solidale e “amica”, capace di collaborare e lavorare in rete secondo linee e progetti condivisi;
– con la comunità territoriale, che dev’essere aiutata ad accogliere e attuare la pastorale integrata, la quale trova nelle unità pastorali un tipico esempio, ma che interessa di fatto tutti gli ambienti di vita e di lavoro in cui operano i laici cristiani, chiamati ad unirsi per testimoniare Cristo e i valori della cultura che scaturiscono dal Vangelo.

5. La sfida dell’“intercultura” nella scuola

È necessario che la sfida dell’intercultura e del pluralismo, che oggi la scuola si trova ad affrontare in una società sempre più plurietnica e plurireligiosa, non si risolva cancellando o ignorando tali radici, ma, al contrario, mostrandone l’intrinseca apertura universale che hanno in se stesse. Di fatto, i valori, i messaggi, i simboli e le realtà culturali, religiose e sociali che la nostra nazione ha sviluppato in tanti secoli e che troviamo presenti in tutto il patrimonio letterario, artistico, filosofico, vitale del nostro popolo, hanno una grande valenza universale, perché sono di per se stessi rispettosi delle diversità ed aperti al dialogo e all’incontro con ogni altra cultura. Identità e pluralismo non sono due vie contrapposte, ma compatibili, proprio grazie alla valorizzazione di questo patrimonio, sul quale si è sviluppata la crescita democratica e la multiforme ricchezza di cultura e tradizioni, che caratterizzano la storia ed il vissuto non solo della nazione, ma anche di ogni singola regione, paese e città d’Italia.
Laicità della scuola non significa neutralità su questi aspetti fondativi del sapere e della proposta culturale da offrire ad ogni alunno. Il rispetto delle differenze, di cui sono portatori altri soggetti, genitori e alunni provenienti da paesi di diverse culture e religioni, non significa rinuncia ai propri valori, ma semmai allargamento di conoscenze ed incontro con questi nuovi apporti. Tale discorso non è confinabile nell’ora di religione, ma è compito della scuola italiana in quanto tale offrire ad ogni alunno tutte le oneste e vere conoscenze necessarie per comprendere ed interpretare il fatto religioso storicamente e nel suo più autentico significato. L’insegnamento della religione cattolica nella scuola si pone come spazio di comunicazione interpersonale in cui, nei vari modi culturali propri della ricerca didattica, sono presenti tutte le dimensioni della persona, le attese più profonde e le domande più nascoste, la ricerca della verità, la comprensione dell’identità e della dignità di ogni uomo, l’educazione alla responsabilità e alla solidarietà, il senso religioso.

6. La crisi educativa

È un dato di fatto che i ragazzi e i giovani soffrono oggi di un abbandono educativo, che spesso parte dalla stessa famiglia, si aggrava a causa della loro solitudine e della separatezza tra mondo degli adulti e loro mondo e trova vie devianti nei social. Questi promuovono spesso comportamenti preoccupanti per gli educatori; ma tali comportamenti non sono che la spia rossa che dovrebbe metterci tutti in gioco, per affrontarli insieme ai ragazzi e mai soltanto con la leva dell’autoritarismo o delle punizioni, ma del dialogo e del confronto responsabile. Oggi, il relativismo e l’assolutizzazione della libertà dell’individuo, per la quale l’autorealizzazione conta più del bene comune, rendono più incerta e provvisoria ogni cosa. Inoltre, la forte domanda di competenze qualificate per il lavoro e la professione, i rapidi cambiamenti economici e produttivi esigono una scuola efficiente nel dare istruzioni sul “come fare”, più che sul “come essere”. L’educazione si riduce sempre più a formazione alle competenze e alle abilità, dove l’interiorità della persona, le grandi domande sul senso della vita e la stessa solidarietà tra le persone vengono considerate inutili e non produttive. Di conseguenza, anche il docente non è più considerato un maestro di cultura e di vita, ma un “facilitatore” per apprendere ciò che serve o ciò che si deve sapere per poter fare bene il proprio “mestiere”. Tutto ciò non deve tuttavia farci dimenticare l’impegno che molti insegnanti, genitori e responsabili della scuola mettono nel contrastare tale situazione, operando col porre al centro del loro servizio il bene degli alunni e la loro crescita come persone libere e responsabili.
Certo i recenti fatti di bullismo contro gli insegnanti da parte di alunni organizzati in bande, la loro ingenuità e spavalderia nella pretesa di farla sempre e comunque franca, che li conduce a pubblicare persino sui social le loro gesta, unita spesso anche all’eccessiva autodifesa che le famiglie fanno dei propri figli, anche di fronte a comportamenti che andrebbero condannati e non accondiscesi, esige una riflessione approfondita da parte degli educatori e dei docenti tutti, perché ne va del compito educativo della scuola, che viene svalutato agli occhi della gente, degli stessi alunni e della nostra società. In tale contesto, quale dev’essere il compito dell’IDR? Lo chiedo a voi, ovviamente, che siete sul campo; ma credo che esso sia oggi ancora più importante che nel passato, proprio per questi motivi di criticità che si debbono affrontare. È un tema che dovrebbe vedervi uniti e capaci di mostrare, proprio grazie al vostro ruolo specifico e alla disciplina che insegnate, un’esemplarità e un sostegno agli stessi vostri colleghi, come anche verso gli alunni, per sostenere un’azione comune e alternativa… Credo che sarebbe interessante che l’Ufficio scuola promuovesse un incontro tra docenti, non solo di religione, per approfondire questa tematica di grande attualità, andando oltre i casi però, e affrontando le ragioni e motivazioni che stanno a monte e conducono poi a tali comportamenti.

7. Conclusione

In conclusione, desidero spendere una parola sulla Settimana della scuola, che si terrà in ottobre, come ogni anno. Si tratta di un’iniziativa di comunione e di unità, che si sta consolidando grazie alla buona volontà di tanti operatori scolastici.
Vorrei che anche le parrocchie fossero più coinvolte e per questo vi invito a prendere contatti con i parroci della parrocchia territoriale della vostra scuola, per avviare un raccordo meno occasionale e più permanente. Lavoriamo perché la scuola sia meno assente dall’agenda pastorale delle nostre comunità e si possa avviare una stagione di più stretta collaborazione, per il bene dei ragazzi e dei giovani e in appoggio alle loro famiglie. Operiamo anche all’interno delle parrocchie e realtà laicali, per la formazione di animatori e collaboratori di pastorale della scuola. Penso al potenziamento delle associazioni di ispirazione cristiana, che operano nella scuola, ma anche ad altre forme di coinvolgimento di docenti e genitori negli organismi collegiali.
Mi auguro che la prossima stagione scolastica veda le nostre comunità cristiane molto più disponibili ed attente alla realtà e ai problemi della scuola e veda gli IDR, resi più sicuri e stabili anche dalle nuove disposizioni legislative, impegnati a dedicare alla scuola un tempo ed un servizio generoso e qualificato, traendo dal tesoro della loro vocazione e del loro ministero ecclesiale tutta la carica di profezia e di idealità di cui è impregnato il Vangelo. Operate con entusiasmo e con la consapevolezza di contribuire così a costruire un mondo nuovo, il vero mondo di Dio e dell’uomo insieme. Alla lunga, questa risulterà la carta vincente anche per i ragazzi e i giovani e per il recupero di un ruolo centrale della stessa scuola nella società.

(Torino, S. Volto, 21 aprile 2018)

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