Carmagnola, città «completa»

Sette parrocchie con altrettanti sacerdoti e un diacono, molti laici impegnati nel volontariato, servizi che funzionano nonostante la crisi turbi antichi equilibri

Quasi 30 mila abitanti: una città «vera», con tutti i servizi, dalle scuole superiori a quelli sanitari; un collegamento ferroviario e stradale che rende facile e «naturale» lo spostamento su Torino e il pendolarismo di chi lavora e studia. In passato ci sarebbe stato forse più orgoglio, per l’avvicinarsi di questa «soglia demografica»: ma oggi, con la crisi, la crescita nel numero di abitanti appare legata più alla «fuga da Torino» che alle possibilità di trovare un lavoro da queste parti. Inoltre molti dei «nuovi arrivati» sono stranieri, che qui hanno trovato accoglienza e integrazione anche se molti di essi vivono ancora in condizioni difficili.
 
Il nuovi cittadini
Il «boom» di stranieri si riscontra nel 2007, quando la Romania entra a far parte dell’Unione europea e i suoi cittadini cessano di essere «extracomunitari»… L’aumento degli abitanti ha significato comunque, in questi anni recenti, l’occasione di uno sviluppo edilizio che altrove continua a mancare. E però non sono certo sufficienti gli interventi nel settore dove più sarebbero necessari, quello dell’edilizia popolare. Le case, in acquisto o in affitto, continuano a rimanere care: e la Caritas cittadina segnala un aumento preoccupante degli sfratti, con tutte le conseguenze sociali che ne vengono.
 
A Carmagnola, fra i residenti di più antica data è forte, da sempre, il senso della vicinanza, e anche della solidarietà: abbondano le associazioni di volontariato di ogni genere, da quello sportivo e per il tempo libero alla Croce Rossa, all’impegno ecologico… A Carmagnola trovano risposte di fraternità le «emergenze» più diverse: due generazioni di giovani sono cresciute, nella Chiesa locale, imparando a conoscere i problemi della mondialità, dell’emarginazione e, in generale, dell’impegno a servizio dei poveri. Così oggi la città ospita case di accoglienza, un Centro di aiuto alla vita, un gruppo di appoggio del Sermig oltre a varie iniziative di sostegno a missionari in Africa e di collegamento con popolazioni povere in Terzo mondo. Così come nel mondo delle parrocchie non mancano né le persone disponibili per i servizi né la generosità a offrire aiuto ai più bisognosi.
 
E il «bisogno», di questi tempi, è forte. Le richieste di aiuto sono sempre più numerose, alle porte delle parrocchie e del centro d’ascolto, dove si «risponde» con tutte le risorse della solidarietà, cercando ogni possibile aggancio con i servizi sociali pubblici (anche questi ultimi devono fare i conti con risorse sempre più limitate). Colpisce, soprattutto, il crescere della «povertà silenziosa», quella delle persone (delle famiglie) che si vergognano anche a chiedere aiuto e si lasciano andare, senza speranza.
 
L’integrazione fra vecchi e nuovi residenti oggi è forse più difficile nei Borghi storici, quelli che una volta erano paesi distanti e distinti, e i cui confini ora si confondono con la città. Qui i «nuovi arrivati» in genere sono famiglie che non sentono il bisogno di inserirsi in quel mondo di memoria, storia, tradizioni che continua ad esprimersi nelle feste patronali, nei raduni dei «coscritti» – e pure, appunto, nelle iniziative concrete di solidarietà. Anche la partecipazione alla vita ecclesiale conosce caratteristiche molto diverse tra i «vecchi» e le famiglie residenti da meno tempo. E tuttavia la partecipazione alle celebrazioni domenicali, nelle comunità carmagnolesi, è intorno al 30% (a Torino si sta fra il 5 e il 10), con l’«eccezione» della parrocchia di Casanova, tre comunità che sono ancora borghi agricoli, dove raggiunge il 60%.
 
Vocazione agricola
L’agricoltura rimane un punto di riferimento economico e produttivo, anche se il lavoro nei campi coinvolge numeri sempre più ridotti di persone. Ma le tecnologie hanno trasformato le famiglie in «aziende» in grado di coltivare appezzamenti vasti di terra; e molta terra è in mano a gruppi dell’agroindustria, che in anni recenti ha fatto qui ottimi affari creando anche opportunità di lavoro. Ma oggi anche in questo settore c’è incertezza, forse proprio perché la logica dei grandi gruppi insegue sempre nuove occasioni di profitto e non si cura troppo delle situazioni concrete di vita dei lavoratori. Il peperone, un simbolo per la città, è anche l’immagine di Carmagnola in quel mercato delle eccellenze che forse oggi rappresenta il Piemonte nel mondo più e meglio dell’automobile… Proprio l’indotto dell’auto e della meccanica, per altro, è il settore che qui paga i prezzi più alti, in termini di occupazione perduta e di tessuto produttivo distrutto o fortemente ridimensionato.
 
La sfida dell’integrazione
Il vero rischio di Carmagnola è diventare una città dormitorio, essa stessa «sobborgo» in un’area metropolitana che non ha più confini né identità definiti. Anche per questo è importante lo sforzo delle associazioni, delle istituzioni pubbliche e delle comunità cristiane per sottolineare i valori dell’aggregazione e dell’integrazione tra vecchi e nuovi residenti, come tra appartenenti a confessioni religiose diverse. A Carmagnola sono ormai 3 circa mila, infatti, i cristiani ortodossi, soprattutto rumeni, che si ritrovano in una chiesa messa a disposizione dalla comunità cattolica. E numerosi sono anche i fedeli islamici, presenti in due centri culturali che fungono anche da moschee; ci sono anche due comunità cristiane evangeliche.
 
Le parrocchie lavorano in «Unità pastorale» già da tempo, perché la città e i suoi borghi costituiscono una realtà unitaria. I preti e il diacono si ritrovano regolarmente, come pure l’équipe di Unità pastorale. In tutte le parrocchie c’è l’oratorio e si organizza l’Estate ragazzi, cercando di dare continuità educativa anche al «dopo Cresima». L’altra attenzione prioritaria è rivolta alle famiglie giovani, soprattutto quelle residenti da poco tempo: la pastorale del Battesimo può costituire, qui come in tutta la diocesi, una grande opportunità per far «camminare insieme» l’intera comunità di Carmagnola.
Marco BONATTI
Testo tratto da «La Voce del Popolo» del 28 ottobre 2012
 
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