La famiglia di casa Giobbe

Dal 1990 accanto i malati di Aids. Nei locali della parrocchia del Gerbido

Da luogo di sofferenza a segno di speranza. È il cammino compiuto in questi ultimi 20 anni da «casa Giobbe». Si tratta di una struttura di accoglienza, cura e solidarietà per persone affette da Aids conclamato che sorge nel territorio della parrocchia Spirito Santo nel quartiere Gerbido di Grugliasco. Fu l’allora parroco dello Spirito Santo don Andrea Tuninetti che insieme al Consiglio pastorale decise di dare in comodato d’uso all’associazione Giobbe, nata nel 1990, «una casa» nei locali di proprietà della parrocchia. L’associazione, coordinata dalla Caritas diocesana e dall’Ufficio diocesano per la pastorale della salute, nasce sulla spinta dell’allora Arcivescovo cardinal Saldarini per combattere «le gravi reazioni di emarginazione e discriminazione nei confronti delle persone colpite dalla malattia».
 
Una trentina di volontari insieme ad un’equipe formata da personale professionale di infermieri medici ed educatori, fornita dalla cooperativa sociale «Crescere insieme», si occupano di seguire passo passo gli ospiti della struttura, non solo dal punto di vista medico, ma aprendo un percorso di condivisione che accompagni «i ragazzi», come vengono chiamati gli ospiti, a riappropriarsi del rispetto di sé e della propria dignità. «Casa Giobbe è un luogo di vita – sottolinea don Marco Brunetti, direttore della pastorale della salute e vicepresidente dell’associazione – un luogo dove le persone che la abitano e quelle che vi operano vivono un quotidiano di relazioni con momenti gioiosi e di maggiore sofferenza, un luogo dove ritrovarsi e capire di essere amati per sé stessi, per quello che si è».
 
«Nella casa – prosegue don Brunetti – al di là della malattia conta la persona e il suo diritto di vivere il presente con speranza: la permanenza in un ambiente dove gli ospiti si sentono ‘persona’ senza etichette, rispettati nella propria dignità, e soprattutto amati fa nascere il desiderio di recuperare le relazioni che contano e riprendere concretamente in mano la propria vita». «Attualmente – sottolinea Luca Iorfida, direttore della Casa – la struttura ospita dieci persone. In questi ultimi anni è cambiato il volto della casa: inizialmente si veniva qui per morire. Oggi grazie alla ricerca di nuove terapie esiste la possibilità di un reale prolungamento di vita per le persone affette dal virus. Molti potrebbero vivere in una famiglia, purtroppo questa molto spesso non c’è o non è disposta a seguirli».
 
Ed ecco che allora per alcuni di essi Casa Giobbe diventa la loro famiglia. «Insieme ai volontari – racconta il diacono Sergio Di Lullo, consigliere dell’associazione e direttore spirituale – facciamo un cammino comune che prepara ‘i ragazzi’ a rileggere il proprio vissuto e a riscoprire la speranza, l’amicizia, la riconciliazione con se stessi e, più spesso di quanto si possa immaginare, la riconciliazione con Dio».
 
 
Testo tratto da «La Voce del Popolo» del 29 gennaio 2012
 
condividi su