Martedi’ 20 dicembre 2016

 

«Gli bastò un interrogatorio insidioso, prima a lui e poi alla madre, per constatare un’ennesima volta che i sintomi dell’amore sono gli stessi del colera. Prescrisse infusi di fiori di tiglio per svagare i nervi e suggerì un cambiamento d’aria per cercare conforto nella distanza» (G. Garcia Marquez, L’amore ai tempi del colera).

 

Semafori, lancette d’orologio; e basta, arcobaleni – e la stessa scrittura, i suoni che diventano linguaggio, le note musicali… tutto è segno intorno a noi.

 

Ma non tutti i segni sono uguali. I sogni ci raccontano una realtà da interpretare, che scava nel profondo e che non «riconosciamo»; o ci portano lungo strade ambigue, interpretazioni erronee, come i messaggi delle streghe di Macbeth… Anche nel «linguaggio di Dio» dobbiamo entrare, e capire. E non dovremmo cedere alla tentazione di «ricattare» il Signore chiedendo quei segni che possiamo controllare, o che indicano la strada voluta dai nostri desideri.

 

In realtà, il primo e totale segno è il corpo: quello che denuncia la malattia, ma anche quello che rappresenta la vita stessa. E il corpo è il dono primario di Dio: quello di ogni persona dalla creazione del mondo; e quello, unico, del Cristo, venuto a noi attraverso le strade ambigue (per noi) del concepimento di una vergine, e con segni di regalità che vengono intuiti dai poveri e dai sapienti ma non dai dotti e dai potenti. Il corpo che è il luogo della nostra salvezza, come scrive Ceronetti: «Il tempo uccide la carta ancor più che la carne. Per sfuggire allo Sterminatore ci vuole sulla pagina il segno dell’Agnello».

 

Marco Bonatti

marco.bonatti@sindone.org

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