Mirafiori, specchio della città

Nel tessuto dell’Unità una diffusa «cultura della solidarietà» che permette di venire incontro a tante emergenze

Come in un caleidoscopio, le varie facce di Torino sembrano riflettersi e ribaltarsi in questo quartiere. Qui c’è la grande fabbrica e anche le case degli operai, dei «quadri», dei benestanti che l’hanno «abitata» e fatta vivere per decenni. Ci sono i giovani e gli spazi dell’educazione; le esperienze della malattia e dell’abbandono – che però sono anche quelle della speranza, e della vicinanza fino alla fine. Mirafiori Nord era, fino a qualche anno fa, un modello di come la fabbrica si trasformava in città, e viceversa. Oggi che la fabbrica non c’è più, o comunque non è più la stessa, rimane un quadro molto variegato – e molto vivace – di una città che non si arrende.
 
La scacchiera del quartiere disegna territori molto diversi tra loro: intorno alla parrocchia del Redentore, al confine con lo stabilimento Fiat sul lato di corso Tazzoli, ci sono le situazioni forse più difficili: in quelle che erano le case degli operai oggi ci sono tanti stranieri, c’è povertà diffusa, alte percentuali di anziani soli e di persone malate, seguite dai servizi psichiatrici e dalla neuropsichiatria infantile. E però proprio qui è cresciuta più forte la «cultura della solidarietà» che, intorno alla parrocchia e non solo, permette di venire incontro a tante emergenze – le stesse che ormai sono diventate comuni in tutta la città e in tutta Italia: pacchi alimentari, bollette, assistenza familiare. Un terzo del bilancio parrocchiale del Redentore è «investito» in aiuti diretti.
 
Qui molti erano già poveri «prima». Prima della crisi, prima della fine della fabbrica. Qui c’erano sacche storiche di emarginazione e degrado (il vecchio «borgo Cina» di corso Salvemini) che risalgono ai tempi della grande immigrazione, e dell’impotenza della città ad accogliere dignitosamente tutti i suoi nuovi abitanti. In questo territorio le parrocchie sono sempre state in prima linea, e solo in anni più recenti sono arrivati servizi pubblici di sostegno e assistenza ai più deboli. La povertà, ricordano i preti, non è solo economica ma anche culturale: nelle zone più degradate molti non resistono alla tentazione del gioco per «fare fortuna»; e finiscono in rovina, insieme con le loro famiglie. C’è un problema anche di linguaggio, di educazione: non è semplice far passare l’idea di stili di vita sobri…
 
Bastano pochi passi e lo scenario cambia completamente. Nel territorio della Pentecoste si trovano le case più care della città; e la popolazione più anziana. Il blocco di abitazioni «per benestanti» venne su tutto insieme. Nei territori dell’Ascensione e di San Giovanni Bosco – così come al Gerbido, porzione del Comuni di Grugliasco che però gravita decisamente su Torino – c’è una maggiore varietà sociale, senza le «punte» verso l’alto e il basso.
 
Le differenze negli stili di vita comportano conseguenze anche sulla pastorale e sui ritmi della comunità cristiana (nell’Unità si stima la partecipazione alla Messa domenicale intorno all’8-10%). Mentre nelle zone più povere nessuno se ne va mai da casa, in altre la «stagione utile», dicono i preti, va da metà novembre alla fine di aprile. Da maggio a fine ottobre la gente non c’è più nei fine settimana, perché va ad «abitare» al mare, in montagna, in campagna, nelle seconde e terze case (giusto quella «ricchezza italiana» che non emerge nei conteggi dell’Unione europea ma che è quanto mai reale). È su questi tempi che bisogna calibrare la catechesi sacramentale e le altre attività, che non mancano.
 
Al Redentore, all’Ascensione e alla Pentecoste i gruppi giovani sono animati dalla Gioc, che ha qui uno dei suoi capisaldi. Il risultato è di creare una continuità – di linguaggio, di stile: il dopo-Cresima qui pesa meno che altrove, parecchi ragazzi rimangono «nel giro», o diventano animatori. In questi ultimi anni, poi, la Pentecoste registra un afflusso straordinario di giovani, che partecipano ai campi o agli incontri in parrocchia. Ma anche nelle altre comunità c’è una certa tenuta. In tutte le parrocchie è ben presente quel fenomeno di adulti «ricomincianti» che, anche nei numeri, sta diventando molto significativo per la vita della Chiesa: gente che aveva lasciato da ragazzo e che ritorna, magari attraverso il catechismo dei figli, a porsi domande e ad impegnarsi. Così sono nati e sono diventati stabili gruppi biblici, altri di famiglie.
 
La parrocchia di San Giovanni Bosco è collegata alle attività pastorali e all’oratorio delle scuole «Agnelli». E proprio questa dell’educazione è un’altra icona del quartiere: uno di fronte all’altro, sui due lati di corso Unione Sovietica, si guardano l’oratorio salesiano e il carcere minorile. Come a ricordare che tra l’Agnelli e il Ferrante Aporti si giocano i destini non solo di quei giovani ma della città intera, che non può far finta di niente – né con i ragazzi «per male» né con quelli «per bene»… Al Gerbido, dove la situazione sociale non è molto diversa da quella di Ascensione e Pentecoste, anche se in qualche modo la «campagna» è più vicina, si trova un’altra icona che appartiene non solo al quartiere ma alla città intera e alla Chiesa torinese. Casa Giobbe, ormai da vent’anni, è una delle finestre aperte sulla speranza nell’epoca dell’Aids.
 
Nei primi tempi si veniva qui per morire nel giro di poche settimane o di qualche mese. Oggi la prevenzione e la medicina allungano anche queste vite, ma non cancellano la difficoltà e la sfida della malattia. Caso mai rendono ancor più significativo il lavoro dei volontari, l’accoglienza e la vicinanza, le relazioni fra le persone.
 
Malgrado le forti diversità presenti sul territorio, Mirafiori Nord non è un quartiere «chiuso» ma anzi ricco di esperienze di incontro e solidarietà. Il programma «Urban 2», avviato dalla Città in collaborazione con tutte le forze del quartiere, ha prodotto risultati significativi soprattutto per quanto riguarda l’aggregazione. Oggi il complesso di «Cascina Roccafranca», con i suoi servizi, rappresenta un punto di riferimento importante per le associazioni e le attività culturali (la «Voce» ha presentato una serie di iniziative per la famiglia nel numero del 15 gennaio scorso).
 
Un altro impegno che ha preso piede è la «colazione della domenica»: quella che viene portata e offerta agli ospiti del dormitorio di corso Tazzoli, nel giorno in cui non c’è il servizio pubblico. Tante persone e famiglie (non solo delle parrocchie) si sono mobilitate e organizzate, e insieme alla colazione arrivano le altre cose di cui gli ospiti del dormitorio hanno bisogno. In tutte le parrocchie sono presenti, oltre a quelli caritativi ecclesiali, gruppi di volontariato; alcuni di essi, negli anni, sono cresciuti ben oltre la dimensione del quartiere, come la «Camminare insieme», che gestisce da tempo un ambulatorio gratuito, rivolto soprattutto agli stranieri, in via Cottolengo.
Marco BONATTI
Testo tratto da «La Voce del Popolo» del 29 gennaio 2012
 
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