Mons. Cesare Nosiglia sulla vicenda del Moi: un “esempio di stile”

Considerazioni del 6 agosto 2018 a cura dell'arcivescovo di Torino

Di seguito le considerazioni sulla vicenda del Moi a cura dell’arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia.

«Sono lieto che la vicenda del Moi, almeno per una palazzina, si sia conclusa positivamente, grazie alle tante persone coinvolte nel Progetto promosso dagli agenti istituzionali: Comune, Regione, Prefettura e Questura, Diocesi di Torino e Compagnia di San Paolo. L’impegno di tutti è stato un fattore decisivo per avviare il Progetto e portarlo a compimento collaborando sempre insieme e d’accordo. È un “esempio di stile” importante: quando c’è la volontà e l’impegno di affrontare i problemi sociali insieme, secondo il metodo dell’Agorà, si riesce a moltiplicare le forze e le risorse sia economiche che di personale e di organizzazione.

Al Moi abbiamo prima di tutto liberato gli scantinati e adesso una intera palazzina. Ringrazio le persone immigrate che abitavano al Moi per la disponibilità ad accettare un impianto di vita diverso, che esige ora il loro responsabile coinvolgimento per raggiungere quella autonomia che è l’obiettivo del progetto stesso. Posso confermare che il percorso avviato e che si snoderà anche nei prossimi anni risponde all’insegnamento di Papa Francesco che nel messaggio per la giornata dell’immigrato indicava alcuni passi da compiere. Anzitutto l’accoglienza basata sulla conoscenza e incontro con ogni persona o famiglia ma vissuta sul piano umano per condividere e rispettare la dignità di ogni persona, i suoi problemi e necessità, le sue speranze. Questo approccio personalizzato è risultato vincente perché ha fatto sentire ogni persona soggetto del proprio domani. Ma l’accoglienza anche abitativa non basta a garantire una vita serena e dignitosa. Occorre procedere poi con l’accompagnamento, l’integrazione e la condivisione.

Accompagnamento vuole dire sostenere il progressivo inserimento nella nostra società mediante alcuni impegni quali la conoscenza della lingua, della legislazione e della cultura del nostro Paese, l’inserimento lavorativo dopo l’eventuale orientamento, la qualificazione professionale. L’integrazione comporta soprattutto il superamento di ogni ghettizzazione delle persone a scapito dell’incontro anche abitativo, lavorativo e sociale tra chi proviene da Paesi diversi per cultura, religione e costumi sociali.

Infine la condivisione che considera ogni persona in grado di dare e non solo di ricevere. Ogni vera accoglienza non è mai a senso unico e vogliamo che diventi uno scambio di doni reciproci per aiutarsi insieme a crescere nel rispetto, nella conoscenza, nell’incontro amicale e nell’amore vicendevole.

Mi auguro che questo risultato possa ottenere un “effetto volàno”, che avvii anche a soluzione il problema delle altre palazzine del Moi, e diventi un modello di riferimento per tante altre situazioni del genere. Non penso solo agli immigrati ma ai milioni di poveri, ai giovani, a chi subisce uno sfratto incolpevole, a chi vive sulla strada, a chi è solo e abbandonato a se stesso… insomma a ogni persona che soffre e sollecita il coinvolgimento e la solidarietà di tutti.

Mons. Cesare Nosiglia

Arcivescovo di Torino»

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