Nella Chiesa, l’umanità

L’invito a stendere una riflessione sulla Gaudium et spes per la «Voce del Popolo» mi è giunto mentre stavo lavorando a un’altra analisi, richiestami per un convegno sulla New Age vista come uno dei fenomeni sociali collettivi più significativi ed estesi del postindustriale e del postmoderno. La coincidenza mi ha piacevolmente colpito, perché rappresenta l’occasione di completare la mia riflessione in una chiave ecclesiale. Credo, infatti, che la Gaudium et spes possa offrire alcune chiavi di lettura per una maggior comprensione dei cambiamenti di questi decenni e tra questi lo sviluppo della New Age, il più grande network planetario, che è lo specchio più fedele delle aspettative e dei bisogni dell’uomo «consumistico» contemporaneo.

 
È qui che si trova la possibilità di stabilire alcuni parallelismi fra la «nuova spiritualità» e il documento conciliare.
 
Non mi sembra azzardato sintetizzare la grande intuizione della Gaudium et spes in una visione della cristianizzazione del mondo che può avvenire proprio grazie all’adeguatezza del cristianesimo nel rispondere ai bisogni più profondi dell’uomo. Il cristianesimo è, cioè, la via migliore per rendere il mondo pienamente umano: il mondo è chiamato a scoprire che, per realizzare completamente se stesso, deve riconoscersi appartenente a Cristo Signore. Il rapporto della Chiesa con l’intera famiglia umana diventa, allora, un rapporto «missionario» che presuppone una profonda solidarietà col mondo, a servizio dell’uomo: «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo» (Gs, 1).
 
La New Age, dal canto suo, punta alla pienezza dell’uomo attraverso la sua totale autorealizzazione: ciò avverrebbe con il trascendere, in un ripiegamento su se stessi, la propria coscienza personale (mediante miti, sogni, simboli, tecniche meditative) per poi accedere all’unità del cosmo e «fondersi» con e in Dio. La New Age vuole suscitare una nuova «coscienza» attraverso la fusione di tutte le coscienze individuali in una «coscienza olistica globale e universale».
A livello storico è sicuramente significativo notare che, in coincidenza del periodo di stesura dei documenti conciliari, la controcultura degli anni ’60 diventava il luogo della prima «formalizzazione» della New Age. Le rivolte studentesche, il cammino pacifista, l’esplosione delle culture hippies diedero vita ad un fronte comune da cui si sono poi sviluppate le due grandi tendenze interne alla New Age: quella dell’impegno politico diretto sui temi della guerra, dell’emancipazione femminile, dei diritti civili, dei sindacati e quella della ricerca individuale di una propria identità al di fuori o ai margini della società, attraverso la sperimentazione di nuove terapie e religioni, di esperienze ipnotiche-mistiche, dell’espansione della propria coscienza attraverso l’uso di ogni tipo di droga.
 
Sempre negli stessi anni cresce lo spazio della cultura underground che, volendo superare la società del pragmatismo e del solo benessere materiale diventa un ulteriore terreno fertile per la diffusione della New Age. La cultura underground può, così, dare il via alla sperimentazione concreta di stili di vita e di filosofie, che incideranno moltissimo anche sul mondo cattolico.
 
Contemporaneamente la Gaudium et spes spalanca nuovi spazi ai credenti rivitalizzando il rapporto Chiesa-mondo attraverso una profetica visione solidaristica che comporterà una riflessione su temi inerenti la dimensione socio-politica, una riflessione così incisiva da rinnovare il senso e lo stile della missione stessa della Chiesa. La Chiesa è presentata come parte e lievito del mondo «arrecando la luce che viene dal Vangelo e mettendo a disposizione degli uomini le energie di Salvezza» (Gs, 3) perché la storia dell’uomo è ormai orientata a Cristo. Il fatto sociale entra a pieno titolo nella storia della Salvezza attraverso il germe della carità, che è presente in ogni uomo. La questione sociale entra addirittura in un contesto di ricomprensione dei compiti stessi della Chiesa. La grande attenzione della Gaudium et spes alla persona e al mondo contemporaneo porterà all’autorevole insegnamento negli ambiti più vitali dell’esistenza umana: quello familiare, economico e politico.
 
Nel rapporto Chiesa-mondo emerge come punto cardine il riconoscimento dell’autonomia delle realtà terrene, il riconoscimento «che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare» (Gaudium et spes, 36). Ne consegue una distinzione di ambiti tra sacerdoti e laici: «Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale: non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che ad ogni problema che sorge, anche quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta o che a questo li chiami la loro missione: assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del magistero… Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna» (Gs, 43).
Queste parole hanno trovato un laicato desideroso di novità, di cambiamento, di profezia, entusiasta anche se impregnato degli sconvolgimenti degli anni ’60. Gli anni ’70-’80 hanno invece portato all’impatto con un quotidiano che non sempre offriva possibilità reali di mediazione e che diventava una costante sfida alla fedeltà, alla coerenza, alla perseveranza. Ho vissuto in questi anni la mia esperienza ecclesiale (alternando momenti parrocchiali, diocesani, regionali e nazionali) nell’Azione Cattolica, che si è sostanzialmente articolata in due aspetti: da una parte la formazione, il servizio alla Chiesa locale, la missionarietà, e dall’altra lo stimolo al cambiamento, all’aggiornamento della mia identità in rapporto al tempo della Chiesa e del Paese.
 
Era, a Torino, il periodo delle significative presidenze diocesane di Paola Rinetti, di Ugo Perone, di Davide Fiammengo, di Beppe Elia. In questo arco di decenni la parabola dell’associazionismo è stata incredibilmente flessibile ed è passata dalla crisi degli anni ‘60, gli anni dello spontaneismo, attraverso il riorganizzarsi, il riemergere del fatto associativo degli anni ‘70 con i movimenti, fino agli anni ’80-‘90 con il recupero di alcune forme aggregative fortemente istituzionalizzate e compatte.
 
Nella faticosità del cammino, l’orientamento stabile per noi laici dell’Azione Cattolica si è rivelato nella scelta che, alla luce del Concilio, la Chiesa italiana e la nostra associazione hanno maturato proprio negli anni ’60: la scelta religiosa. Il presidente nazionale Vittorio Bachelet, ucciso poi dalla Brigate Rosse, ce la descriveva così: «è un riscoprire la centralità dell’annuncio di Cristo, annuncio della fede da cui tutto il resto trova un significato. Questo vuol dire che l’annuncio di Cristo può diventare fermento di civiltà. In un tempo di grande cambiamento, di profonda trasformazione, di crisi dei valori, era necessario andare all’essenziale, dal quale può germogliare l’affermazione, la crescita dei valori umani e cristiani».
La mia attenzione alle nuove forme di povertà, promossa in Azione Cattolica, che vivevo ormai dagli anni ‘70 anche a livello professionale (in situazioni di disagio non solo mentale ma anche nei suoi risvolti sociali), ha spinto il nostro Arcivescovo, padre Anastasio Ballestrero, ad affidarmi la formazione e la gestione degli Obiettori di Coscienza al servizio militare della Caritas diocesana. Ciò ha significato una presa in carico di più di 400 giovani l’anno, tra obiettori aspiranti e in servizio. Non cesserò mai di essere grato alla formazione umana e cristiana che l’Azione Cattolica mi ha donato e questa formazione ho cercato di mediarla nella preparazione anche di tipo «professionale» degli obiettori, operatori negli ambiti dell’estrema povertà. Per questo ho avviato un Centro Studi diocesano e regionale su questioni attinenti la pace, la nonviolenza, la difesa popolare nonviolenta, l’educazione alla pace, quale espressione della nostra formazione cristiana. Si è sviluppato così un programma formativo molto articolato, che era completato dai progetti di solidarietà nel disagio sociale e dalla promozione della «vita comunitaria», vissuta in più di venti comunità obiettori.
 
È innegabile la grande influenza nelle scelte di vita di tanti laici credenti del costante cammino di mediazione, promosso in Azione Cattolica, nel quotidiano dei valori rilanciati dal Concilio. Ma la mia è una generazione chiamata a passare dall’entusiasmo conciliare all’indifferenza come modello sociale, attraverso il sofferto e complesso superamento del pensiero della modernità.
Questo ci riporta alla New Age proprio perché risulta espressione dei cambiamenti sociali. In questi 40 anni è emersa sempre più l’ambivalenza della New Age nei confronti della società moderna: da una parte si nutre dei consumi sociali e ad essi affida i suoi prodotti e servizi, dall’altra rigetta i valori su cui si fonda la modernità e la sostituisce ecletticamente con miti e aspirazioni collettive, svuotati del loro significato originario. Questa ambivalenza ha fatto nascere, nella New Age, una «corrente calda» che coltiva la trasformazione spirituale degli uomini in attesa della nuova era, ed una «corrente fredda» che esaurisce la New Age nella produzione di servizi e all’abnorme lucro consumistico conseguente.
Nel passare degli anni la «corrente calda» è sempre più caduta in secondo piano e la componente dell’impegno politico-sociale diretto è addirittura scomparsa. Scompare, cioè, la dimensione collettiva-solidaristica, si accentua un ripiegamento individualistico ed avviene il temuto passaggio dall’utopia globale al narcisismo. I cambiamenti del postmoderno hanno portato, secondo molti sociologi ad un’identità della società definibile come «liquida» (perché destrutturata, precaria, priva di riferimenti stabili) e dell’uomo come consumatore (perché solo la possibilità di consumo scuoterebbe dall’indifferenza e offrirebbe autoaffermazione).
 
Nel corso degli ultimi anni è emersa con sempre maggior chiarezza la centralità di un dinamismo cardine, che arresta o accelera queste identità: il sentimento sociale (o la solidarietà), che acquista una valenza più completa se vista su vari piani – quello filosofico, spirituale, sociologico – che è criterio di discernimento per comprendere la tipologia dei cambiamenti in atto. Si tratta del medesimo sguardo solidale della Gaudium et spes sul mondo e su ogni uomo.
Il vissuto religioso cristiano è innanzitutto solidale nel senso che è un «vissuto relazionale», finalizzato alla comprensione della realtà, che vuole dare un senso all’Io, al mondo, alla relazione con ciò che è diverso da noi e aperto al riconoscimento di un «radicalmente Altro». Questa relazionalità richiede il superamento di ogni ripiegamento su se stessi, dell’egocentrismo, del narcisismo, per aprirsi all’accoglienza del diverso, fino alla negazione di sé nella carità, nel dono all’altro.
Il dinamismo della New Age, del postmoderno è opposto a quello del vissuto cristiano o dell’eterocentrismo: la salvezza, la salute coincidono con una ricerca interna di benessere, di sensazioni armoniose, che permettono il risvegliarsi della goccia divina che è presente in tutti: ma questo è, in realtà, una forma di «narcisismo consumistico» ed egocentrico, che fuori da sé, vista la sua debolezza strutturale, non riesce più a trovare un senso alla vita!
 
L’uomo si ritrova così senza legami… Tutto ciò che non è riducibile al consumo, come la sofferenza, le ingiustizie subite, la morte, fa drammaticamente esplodere l’angoscia, l’insicurezza che culminano nella domanda e nel problema del senso. Quando il mondo viene percepito con i suoi limiti e con una fine, nasce la ricerca di un senso nella prospettiva della «vita solidale», alternativa al narcisismo. In questi miei ultimi anni di impegno psico-oncologico nell’ambito ospedaliero, credo di aver sperimentato fino in fondo lo stretto rapporto tra richiesta di eutanasia e ricerca di senso, tra malattia e solidarietà.
 
Di fronte a un simile contesto sociale, è significativo che ricercatori laici e religiosi, provenienti da ambiti di studio tra loro molto differenziati, indichino le medesime priorità per uscire dall’insicurezza e dall’angoscia collettiva e personale.
Per umanizzare la globalizzazzione, il sociologo Zygmunt Bauman auspica un recupero del rapporto tra economia e politica attraverso un rinnovato senso della responsabilità in una prospettiva solidaristica planetaria. Lo storico Giorgio Campanini individua la sfida di una nuova evangelizzazione nel vivere la fede nella secolarità e nella complessità, attraverso un laicato capace di suscitare delle domande di senso negli ambienti di vita degli uomini e di testimoniare la carità.
 
Thimothy Radcliffe, a livello ecclesiale, ritiene necessario un recupero dell’equilibrio tra l’autorità della tradizione (gerarchia), quella della ragione (pensiero teologico) e quella dell’esperienza (del popolo di Dio nel mondo): equilibrio attualmente sbilanciato, perché sembra esistere solo la prima autorità.
Ma queste priorità, al di là del contesto storico ovviamente modificato, altro non sono che il rilancio delle attese e delle sfide della Gaudium et spes…
 
Jean TEFNIN
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