«Oggi la vera pace è scesa a noi dal cielo»

«Fiorì il germoglio di Iesse, l’albero della vita ha donato il suo frutto” (Inno per l’Ufficio delle Letture nel Tempo di Natale). Nel cuore dell’inverno, là dove la notte espande il petto e trattiene il respiro (la notte più lunga dell’anno), il popolo che cammina nelle tenebre (Is 9,1) è invitato a gioire per il dono della Luce più grande, quella che illumina il mondo: Cristo, il «Sole di Giustizia» (Mal 3,20; Lc 1,78). È una Luce che ha la forza di una fiammella; un fiore che ha la forma di un germoglio; un albero che ha la forma di un piccolo stelo da custodire e proteggere; un frutto che ha la grandezza di un piccolo seme di bambino: «nell’ombra del Presepe, giace povero e umile il creatore del mondo» (Inno per l’Ufficio).

 
La notte è ancora una volta protagonista, come a Pasqua: è una notte da vivere nella veglia, come i pastori all’aperto (Lc 2,8), come l’amata nella stanza nuziale (“Io dormo, ma il mio cuore veglia”: Ct 5,2); una notte per muoversi e andare a Betlemme, come ad una sorgente (perché non pensare ad una piccola veglia esterna, ad una processione da fuori a dentro, come a Pasqua, con le luci ed il Bambino, e il canto del Gloria entrando in chiesa, sino alla colletta e poi subito la Parola, senza altre parole, prediche, commenti e introduzioni inutili, che non abbiano la forza e la grazia della contemplazione?). È una notte da non illuminare troppo in fretta, perché il buio parli dell’Incarnazione, e la grotta parli del sepolcro; una notte da non disturbare con troppe parole, che impediscono di sentire il fruscio d’ali degli angeli.
 
La grazia del Natale è custodita dalle sue celebrazioni così studiate perché siano perfettamente appropriate con l’ora esatta della celebrazione: la vigilia che fa dire, nell’antifona di ingresso, «Oggi lo saprete: il Signore viene»; la notte che fa dire «Oggi la vera pace è scesa a noi dal cielo», l’aurora che fa dire«“Oggi su di noi splenderà la luce»; il giorno, che fa dire prima del Magnificat «Oggi Cristo è nato».
 
La grazia del Natale è tutta in questa capacità di contemplare, di far brillare gli occhi ed il cuore. Per questo l’immagine per la visione (il presepe, il bambino davanti all’altare, la luce nei luoghi eminenti della celebrazione…) non dovrà essere dozzinale, la parola non dovrà essere banale (pur nella semplicità e nella sincerità); l’incenso non dovrà essere virtuale (anche se si può usare in modi diversi, non solo con il turibolo…).
 
Ci penserà il tempo di Natale, con i suoi testimoni vestiti di rosso e di bianco (Stefano, i martiri innocenti, Giovanni l’evangelista, Maria la madre di Dio e Giuseppe suo sposo, fino ai «mitici»magi…), a ricondurre la poetica del Natale sull’asse di una drammatica del Dono, sino al sacrificio. Ci penseranno i grandi testi che ascolteremo nelle Messe feriali e nell’ufficio delle letture a far risplendere in tutta la sua luce il Mistero di questo bambino che regge il mondo (Paolo ai Colossesi), e le implicazioni che ne derivano per la vita personale e comunitaria (Prima Lettera di san Giovanni).
 
E non importa se saranno soltanto pochi a fare il cammino intero, se qualcuno si fermerà solo all’incanto della poesia: importa che ci sia qualcuno che nella casa della Chiesa, e nella sua stanza più preziosa (la stanza nuziale della liturgia), custodisca i gesti, le parole, i sentimenti, capaci di dire, anzi di cantare – più leggermente possibile – il Salvatore del mondo.
 
Il ritmo serrato delle celebrazioni (25 e 26 dicembre, 1 e 2 gennaio, 6 e 9 gennaio: attenzione alle Messe vespertine del 25 e dell’1, ancora dentro le solennità del Natale e della Madre di Dio!) sia compensato da una presa di parola concentrata nel tempo e nel contenuto (attenzione a non cadere nella trappola delle solite requisitorie sulla famiglia e sulla pace nel mondo…), e sia vissuto dentro uno stile celebrativo calmo, mite, obbediente e fiducioso nella capacità del rito (preghiere, gesti, canti, silenzi…) di far entrare nel Mistero, sino a fare di noi stessi una dimora accogliente.
don Paolo TOMATIS
direttore dell’Ufficio liturgico diocesano
 
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