«Come dicono i padri della Chiesa», rubrica «Lo spigolo tondo»/35

Articolo pubblicato su «La Voce E il Tempo» del 20 novembre 2022

«Come dicono i Padri della Chiesa»: questa espressione funge spesso da introduzione o conclusione nella trattazione di temi dogmatici o morali, in testi del magistero e in pubblicazioni teologiche, ma anche in lezioni accademiche di teologia e in omelie. Normalmente è accompagnata da una o più citazioni patristiche, che postulano l’assunto impegnativo che per circa sette secoli (cioè la durata del periodo dei padri, che inizia alle origini del cristianesimo per finire a metà del sec. VIII) il pensiero della Chiesa su un dato argomento sia stato unicamente quello enunciato dalla sintesi di chi sta scrivendo o parlando.

Va da sé che si tratti di un azzardo, ma con questo non si vuole denunciare necessariamente un abuso: siamo abituati ad altri azzardi introdotti da espressioni quali «come dice la Bibbia» o «come dice la Chiesa» e se chi scrive o parla tiene conto del percorso secolare della teologia, può far in modo di non strumentalizzare una singola citazione ed evitare di essere generico.

Nelle università del basso medioevo avevano grande spazio le «questioni disputate»: un tema era presentato a partire da ciò che a proposito era scritto nella Bibbia e nei testi dei Padri, ma si deve annotare che spesso non si teneva conto del pensiero globale degli autori, che si citavano traendo frasi da raccolte di sentenze patristiche. Questo metodo è continuato anche nella manualistica dell’età moderna: i manuali di teologia sono i diretti eredi delle «summae» medievali e dopo le citazioni dei Padri hanno trovato spazio quelle dei Dottori della Chiesa successivi all’era patristica e quelle del magistero.

Il ritorno alle fonti bibliche e patristiche che dura ormai da un secolo, ha almeno in parte ridimensionato questo metodo, ma non ha pienamente risolto il modo di utilizzare gli scritti dei primi secoli, che spesso continua ad essere strumentale. I Padri sono autori che hanno trasmesso l’annuncio cristiano nella cultura ellenistica e in altri scenari a noi meno noti, ad esempio in Mesopotamia, Armenia o Etiopia. Conoscere il loro pensiero inserito nel loro contesto storico culturale è di grande ricchezza, soprattutto se lo si fa senza ansie da citazione e senza voler a tutti i costi suffragare assunti preordinati.

Si rimane sorpresi nel cogliere la freschezza delle espressioni dei Padri ed il loro coraggio di aver scritto senza temere le conseguenze (molti hanno subito prigionie ed esili, se non il martirio). Potrà capitare di essere delusi dal prezzo che essi hanno pagato alla loro contingenza storico culturale, ma è quello che succede anche a noi anche nel valutarli o giudicarli. Si coglieranno sfumature diverse e talvolta vere e proprie contraddizioni tra i Padri, fattore molto utile per contribuire a cassare l’idea che la teologia sia un monolite trasportato nei secoli da figure anonime e comprendere che è invece l’elaborazione dell’esperienza viva di fede da parte di persone appartenenti ad una comunità cristiana, in un dato luogo e in un dato tempo.

Carlo PERTUSATI su «La Voce E il Tempo» del 20 novembre 2022

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