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Dialogo con l’islam in Indonesia: la testimonianza di un missionario saveriano



L’Indonesia è il più popoloso Paese musulmano del mondo, ma ospita anche una vitale comunità cattolica. Ne fanno parte numerosi missionari, impegnati anche nel dialogo con le diverse culture che convivono in questa nazione asiatica, compresa quella islamica. Padre Matteo Rebecchi, sacerdote saveriano, nel Paese da 14 anni, oggi impegnato nella formazione dei giovani, ha raccontato la sua esperienza nell’intervista di Davide Maggiore:RealAudioMP3

R. – Sono stato mandato nelle isole Mentawai, un piccolo arcipelago ad ovest dell’isola di Sumatra, dove praticamente si vive una missione che è ancora sullo stile molto tradizionale, quindi una missione di foresta, una missione dove manca un po’ di tutto. All’epoca, per esempio, mancava il telefono; la corrente elettrica, nel nostro centro c’era soltanto la sera, e le comunicazioni erano molto difficili, bisognava attraversare il mare per tornare a Sumatra per cui anche i collegamenti con i centri più importanti dell’Indonesia erano molto rari. Tra l’altro, c’era anche il rapporto con una cultura ancora tradizionale.

D. – Cosa vuol dire vivere la fede in un contesto simile?

R. – Io mi ricordo un viaggio in cui ho camminato per cinque ore nel fango e a un certo punto mi sono detto: ma che sto andando a fare qui? Ho celebrato la Messa per 15 persone, in un villaggio, con un viaggio molto avventuroso e mi chiedevo quale fosse il senso di tutto questo ma è stato proprio lì che il rapporto con Dio, il rapporto con la fede, mi ha chiarito che andavo a dire Messa perché Dio voleva amare quelle persone come Lui amava me. Per cui questo rapporto con l’amore con Dio è stato la motivazione della missione e anche la giustificazione di alcune fatiche fatte in questo luogo.

D. – Lei si è trasferito a Giacarta, si occupa adesso di formazione di giovani…

R. – Giacarta è una metropoli di circa 15 milioni di persone, non si sa esattamente quante siano le persone che abitano qui. Per cui è stato un cambiamento molto forte. Il dono che ho ricevuto qui, oltre a tutta l’esperienza bella vissuta nella formazione, è stato proprio questo rapporto con il mondo musulmano. Qui in Indonesia, infatti, si vive ancora un clima di collaborazione e di tolleranza, di possibilità di dialogo. Ci sono moltissimi gruppi che lavorano nell’ambito del dialogo interreligioso e collaborano anche nella difesa dei diritti umani e si tratta di gruppi multireligiosi. Per fare un esempio, abbiamo programmato per quest’anno una serie di incontri mensili con personalità musulmane che vengono a parlare ai nostri seminaristi e vediamo che i nostri amici musulmani sono contenti di venire a parlare, si creano rapporti, si crea collaborazione. E’ un clima molto bello e lo ritengo veramente un dono di Dio e un dono personale, fatto a me, perché non conoscevo l’islam, non conoscevo soprattutto i musulmani, e adesso vedo che invece conosco tanti amici, tanti fratelli di fede musulmana, con cui penso di poter dire che ci sia un rapporto di fraternità molto bello.

D. – Qual è l’esperienza o la consapevolezza che vuole condividere con i nostri ascoltatori?

R. – La cosa forse più bella che ho incontrato qui in Indonesia è la bellezza dei rapporti. Passando dall’Europa all’Asia si nota come ci sia questo desiderio ancora di rapporti personali, di rapporti veri. Le persone sono ancora molto aperte, molto disponibili a creare questi rapporti di fraternità. Questo tra l’altro facilita molto il rapporto con i musulmani. Sento che attraverso questi rapporti si cresce anche nel rapporto con Dio. Quindi penso che la missione mi abbia anche aiutato ad approfondire questo rapporto con il Padre. I miei fratelli sono cristiani, musulmani, di altre religioni, tutti amati da Dio e mi sembra che quest’Anno della Fede ci aiuti a riflettere e a convincerci sempre di più di questo amore che è infinito per ognuno di noi.

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