Cenni storici

Nei primissimi secoli della storia cristiana, prima ancora che prendesse corpo quell’esperienza monastica, eremitica e comunitaria, che avrebbe dato l’avvio alla grande avventura della vita religiosa, alcune donne, desiderarono donare a Cristo il loro cuore e le loro vite nella semplicità delle occupazioni quotidiane, rimanendo nella loro casa e vivendo più intensamente la partecipazione alla vita liturgica e di carità della loro comunità locale. Si trattava di una sequela Christi vissuta senza particolari strutture, ma affidata al discernimento e alla prudenza dei pastori e degli episcopi e presto riconosciuta ecclesialmente attraverso un rito di consacrazione pubblica.

 
 
Caduta in oblio [almeno ufficialmente] per molti secoli a fronte della diffusione di altre forme di vita consacrata femminile, la consecratio virginum è stata riscoperta dal Concilio Vaticano II all’interno di una ritrovata valorizzazione della vocazione laicale e battesimale, di una rinnovata ecclesiologia elaborata dai Padri conciliari e dal rifiorire di quegli studi patristici che hanno reso accessibili a molti le sorgenti dell’esperienza cristiana.
 
Alla luce di questo nuovo contesto ecclesiale anche la verginità consacrata ha trovato un terreno in cui rileggere la propria esperienza secolare per aprirsi, certo, alle nuove prospettive dell’oggi.
 
Papa Paolo VI, approvando la promulgazione del nuovo Ordo Consecrationis Virginum il 31 maggio 1970, ha permesso che rifiorisse nella Chiesa italiana [e in tutte le Chiese] una vocazione antichissima, come abbiamo detto, ma che oggi dobbiamo credere lo Spirito ritenga particolarmente adatta ad esprimere la profezia della vita cristiana e il ruolo di collaborazione pastorale della donna all’interno della Chiesa.
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