«Musica e censura: criteri e scorciatoie», secondo numero della rubrica «Lo spigolo tondo»

Articolo pubblicato su «La Voce E il Tempo» del 2 maggio 2021

Il ministro Dario Franceschini e il pianista Stefano Bollani hanno in comune la barba, il fatto di fare cultura – uno da politico, l’altro da musicista – e di essersi entrambi occupati recentemente di censura. Il primo, firmando un decreto che abolisce quella cinematografica. Bollani, dedicando una puntata della sua trasmissione su Rai3 alla censura nella musica. Quali sono, nelle canzoni, i casi più famosi di forbici a motivazione religiosa? «Dio è morto» (1968) di Guccini/ Nomadi, proibita dalla Rai (ma non da Radio Vaticana). Poi «4 marzo 1943» di Dalla: nel 1971 via il «Gesù bambino» come titolo, la ragazzina madre che «giocava alla Madonna» finì a «giocare a far la donna» mentre «i ladri e le puttane» di fi ne testo divennero una vaga «gente del porto». Dello stesso anno è «Dio mio no» di Battisti: anche qui, niet della Rai.

Violazione del comandamento di non nominare il nome di Dio invano? Non sembra, visto che nel 1966 si era dato l’ok a «Dio, come ti amo» con Modugno/Cinquetti poi vittoriosi al sanremone di turno. A far stracciar le vesti fu invece la morale sessuale della storia (l’improponibile presa d’iniziativa da parte della donna).

Tutta la piccola storia della musica leggera in Italia è piena di voglia di forbici censorie in nome della religione. Dagli orecchini a crocifisso di Madonna alle esibizioni recentissime di Achille Lauro, passando per lo Zucchero di «Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’Azione Cattolica» (l’«Osservatore Romano» rampognò la stessa AC per aver inserito la canzone in un listone di brani «validi per un percorso educativo cattolico per chi svolge un servizio con il canto, in parrocchia o in gruppo»).

In realtà è una voglia vecchia come il mondo e non sembra certamente destinata a scomparire. Questa rubrica parte dal presupposto che esistono tanti modi per guardare la realtà. Tanti strumenti per cercare di capirla e approfondirla. Tanti libri per formarci una opinione. La voglia di censura imbocca invece la scorciatoia opposta. Quella di imporre un modo unico e certificato di vedere le cose. Di limitare, condizionare gli strumenti per capirle. Di calare dall’alto un’opinione superiore che prevenga e travalichi la formazione di quelle individuali.

I criteri invocati per i tagli sono dichiarati essere universali e oggettivi: morale pubblica, comune senso del pudore, sensibilità religiosa. Ma queste categorie sono quanto di più mutevole, fluido e cangiante ci sia al mondo. Da cattolici, gente che può parlare dell’argomento con esperienza bimillenaria, dovremmo avere ormai imparato a tenere banalmente distinti il piano e le sedi proprie dell’enunciazione della Fede e della dottrina, da quello della lettura, della interpretazione e del racconto dei temi religiosi. Senza mai scordare – pragmaticamente – che ogni tentativo di intervento censorio si trasforma in un formidabile colpo d’ala pubblicitario per chi si vorrebbe emendare. E che siamo i discepoli di uno che è morto in croce come bestemmiatore (Vangelo secondo Marco 14,64).

Lorenzo CUFFINI, collaboratore dell’Ufficio Pastorale della Cultura

da «La Voce E il Tempo» del 2 maggio 2021

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