Messaggio di papa Francesco per la 55-ma Giornata mondiale della pace – 1° gennaio 2022

Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro: strumenti per edificare una pace duratura

MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PAPA FRANCESCO
PER LA LV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2022
Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro: strumenti per edificare una pace duratura

 

1. «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace» (Is 52,7).
Le parole del profeta Isaia esprimono la consolazione, il sospiro di sollievo di un popolo esiliato,
sfinito dalle violenze e dai soprusi, esposto all’indegnità e alla morte. Su di esso il profeta Baruc si
interrogava: «Perché ti trovi in terra nemica e sei diventato vecchio in terra straniera? Perché ti sei
contaminato con i morti e sei nel numero di quelli che scendono negli inferi?» (3,10-11). Per
questa gente, l’avvento del messaggero di pace significava la speranza di una rinascita dalle
macerie della storia, l’inizio di un futuro luminoso.
Ancora oggi, il cammino della pace, che San Paolo VI ha chiamato col nuovo nome di sviluppo
integrale, [1] rimane purtroppo lontano dalla vita reale di tanti uomini e donne e, dunque, della
famiglia umana, che è ormai del tutto interconnessa. Nonostante i molteplici sforzi mirati al dialogo
costruttivo tra le nazioni, si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti, mentre avanzano
malattie di proporzioni pandemiche, peggiorano gli effetti del cambiamento climatico e del degrado
ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete e continua a dominare un modello
economico basato sull’individualismo più che sulla condivisione solidale. Come ai tempi degli
antichi profeti, anche oggi il grido dei poveri e della terra [2] non cessa di levarsi per implorare
giustizia e pace.
In ogni epoca, la pace è insieme dono dall’alto e frutto di un impegno condiviso. C’è, infatti, una
“architettura” della pace, dove intervengono le diverse istituzioni della società, e c’è un
“artigianato” della pace che coinvolge ognuno di noi in prima persona. [3] Tutti possono
collaborare a edificare un mondo più pacifico: a partire dal proprio cuore e dalle relazioni in
famiglia, nella società e con l’ambiente, fino ai rapporti fra i popoli e fra gli Stati.
Vorrei qui proporre tre vie per la costruzione di una pace duratura. Anzitutto, il dialogo tra le
generazioni, quale base per la realizzazione di progetti condivisi. In secondo luogo, l’educazione,
come fattore di libertà, responsabilità e sviluppo. Infine, il lavoro per una piena realizzazione della
dignità umana. Si tratta di tre elementi imprescindibili per «dare vita ad un patto sociale», [4]
senza il quale ogni progetto di pace si rivela inconsistente.
2. Dialogare fra generazioni per edificare la pace
In un mondo ancora stretto dalla morsa della pandemia, che troppi problemi ha causato, «alcuni
provano a fuggire dalla realtà rifugiandosi in mondi privati e altri la affrontano con violenza
distruttiva, ma tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il
dialogo. Il dialogo tra le generazioni». [5]
Ogni dialogo sincero, pur non privo di una giusta e positiva dialettica, esige sempre una fiducia di
base tra gli interlocutori. Di questa fiducia reciproca dobbiamo tornare a riappropriarci! L’attuale
crisi sanitaria ha amplificato per tutti il senso della solitudine e il ripiegarsi su sé stessi. Alle
solitudini degli anziani si accompagna nei giovani il senso di impotenza e la mancanza di un’idea
condivisa di futuro. Tale crisi è certamente dolorosa. In essa, però, può esprimersi anche il meglio
delle persone. Infatti, proprio durante la pandemia abbiamo riscontrato, in ogni parte del mondo,
testimonianze generose di compassione, di condivisione, di solidarietà.
Dialogare significa ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi e camminare insieme. Favorire tutto questo
tra le generazioni vuol dire dissodare il terreno duro e sterile del conflitto e dello scarto per
coltivarvi i semi di una pace duratura e condivisa.
Mentre lo sviluppo tecnologico ed economico ha spesso diviso le generazioni, le crisi
contemporanee rivelano l’urgenza della loro alleanza. Da un lato, i giovani hanno bisogno
dell’esperienza esistenziale, sapienziale e spirituale degli anziani; dall’altro, gli anziani necessitano
del sostegno, dell’affetto, della creatività e del dinamismo dei giovani.
Le grandi sfide sociali e i processi di pacificazione non possono fare a meno del dialogo tra i
custodi della memoria – gli anziani – e quelli che portano avanti la storia – i giovani –; e neanche
della disponibilità di ognuno a fare spazio all’altro, a non pretendere di occupare tutta la scena
perseguendo i propri interessi immediati come se non ci fossero passato e futuro. La crisi globale
che stiamo vivendo ci indica nell’incontro e nel dialogo fra le generazioni la forza motrice di una
politica sana, che non si accontenta di amministrare l’esistente «con rattoppi o soluzioni veloci»,
2
[6] ma che si offre come forma eminente di amore per l’altro, [7] nella ricerca di progetti condivisi e
sostenibili.
Se, nelle difficoltà, sapremo praticare questo dialogo intergenerazionale «potremo essere ben
radicati nel presente e, da questa posizione, frequentare il passato e il futuro: frequentare il
passato, per imparare dalla storia e per guarire le ferite che a volte ci condizionano; frequentare il
futuro, per alimentare l’entusiasmo, far germogliare i sogni, suscitare profezie, far fiorire le
speranze. In questo modo, uniti, potremo imparare gli uni dagli altri». [8] Senza le radici, come
potrebbero gli alberi crescere e produrre frutti?
Basti pensare al tema della cura della nostra casa comune. L’ambiente stesso, infatti, «è un
prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva». [9] Vanno
perciò apprezzati e incoraggiati i tanti giovani che si stanno impegnando per un mondo più giusto
e attento a salvaguardare il creato, affidato alla nostra custodia. Lo fanno con inquietudine e con
entusiasmo, soprattutto con senso di responsabilità di fronte all’urgente cambio di rotta, [10] che ci
impongono le difficoltà emerse dall’odierna crisi etica e socio-ambientale [11] .
D’altronde, l’opportunità di costruire assieme percorsi di pace non può prescindere
dall’educazione e dal lavoro, luoghi e contesti privilegiati del dialogo intergenerazionale. È
l’educazione a fornire la grammatica del dialogo tra le generazioni ed è nell’esperienza del lavoro
che uomini e donne di generazioni diverse si ritrovano a collaborare, scambiando conoscenze,
esperienze e competenze in vista del bene comune.
3. L’istruzione e l’educazione come motori della pace
Negli ultimi anni è sensibilmente diminuito, a livello mondiale, il bilancio per l’istruzione e
l’educazione, considerate spese piuttosto che investimenti. Eppure, esse costituiscono i vettori
primari di uno sviluppo umano integrale: rendono la persona più libera e responsabile e sono
indispensabili per la difesa e la promozione della pace. In altri termini, istruzione ed educazione
sono le fondamenta di una società coesa, civile, in grado di generare speranza, ricchezza e
progresso.
Le spese militari, invece, sono aumentate, superando il livello registrato al termine della “guerra
fredda”, e sembrano destinate a crescere in modo esorbitante. [12]
Èdunque opportuno e urgente che quanti hanno responsabilità di governo elaborino politiche
economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli investimenti pubblici nell’educazione
e i fondi destinati agli armamenti. D’altronde, il perseguimento di un reale processo di disarmo
internazionale non può che arrecare grandi benefici allo sviluppo di popoli e nazioni, liberando
risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture,
la cura del territorio e così via.
3
Auspico che all’investimento sull’educazione si accompagni un più consistente impegno per
promuovere la cultura della cura. [13] Essa, di fronte alle fratture della società e all’inerzia delle
istituzioni, può diventare il linguaggio comune che abbatte le barriere e costruisce ponti. «Un
Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura
popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura tecnologica, la
cultura economica e la cultura della famiglia, e la cultura dei media». [14] È dunque necessario
forgiare un nuovo paradigma culturale, attraverso «un patto educativo globale per e con le giovani
generazioni, che impegni le famiglie, le comunità, le scuole e le università, le istituzioni, le religioni,
i governanti, l’umanità intera, nel formare persone mature». [15] Un patto che promuova
l’educazione all’ecologia integrale, secondo un modello culturale di pace, di sviluppo e di
sostenibilità, incentrato sulla fraternità e sull’alleanza tra l’essere umano e l’ambiente. [16]
Investire sull’istruzione e sull’educazione delle giovani generazioni è la strada maestra che le
conduce, attraverso una specifica preparazione, a occupare con profitto un giusto posto nel
mondo del lavoro. [17]
4. Promuovere e assicurare il lavoro costruisce la pace
Il lavoro è un fattore indispensabile per costruire e preservare la pace. Esso è espressione di sé e
dei propri doni, ma anche impegno, fatica, collaborazione con altri, perché si lavora sempre con o
per qualcuno. In questa prospettiva marcatamente sociale, il lavoro è il luogo dove impariamo a
dare il nostro contributo per un mondo più vivibile e bello.
La pandemia da Covid-19 ha aggravato la situazione del mondo del lavoro, che stava già
affrontando molteplici sfide. Milioni di attività economiche e produttive sono fallite; i lavoratori
precari sono sempre più vulnerabili; molti di coloro che svolgono servizi essenziali sono ancor più
nascosti alla coscienza pubblica e politica; l’istruzione a distanza ha in molti casi generato una
regressione nell’apprendimento e nei percorsi scolastici. Inoltre, i giovani che si affacciano al
mercato professionale e gli adulti caduti nella disoccupazione affrontano oggi prospettive
drammatiche.
In particolare, l’impatto della crisi sull’economia informale, che spesso coinvolge i lavoratori
migranti, è stato devastante. Molti di loro non sono riconosciuti dalle leggi nazionali, come se non
esistessero; vivono in condizioni molto precarie per sé e per le loro famiglie, esposti a varie forme
di schiavitù e privi di un sistema di welfare che li protegga. A ciò si aggiunga che attualmente solo
un terzo della popolazione mondiale in età lavorativa gode di un sistema di protezione sociale, o
può usufruirne solo in forme limitate. In molti Paesi crescono la violenza e la criminalità
organizzata, soffocando la libertà e la dignità delle persone, avvelenando l’economia e impedendo
che si sviluppi il bene comune. La risposta a questa situazione non può che passare attraverso un
ampliamento delle opportunità di lavoro dignitoso.
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Il lavoro infatti è la base su cui costruire la giustizia e la solidarietà in ogni comunità. Per questo,
«non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così
facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita
su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale». [18]
Dobbiamo unire le idee e gli sforzi per creare le condizioni e inventare soluzioni, affinché ogni
essere umano in età lavorativa abbia la possibilità, con il proprio lavoro, di contribuire alla vita
della famiglia e della società.
Èpiù che mai urgente promuovere in tutto il mondo condizioni lavorative decenti e dignitose,
orientate al bene comune e alla salvaguardia del creato. Occorre assicurare e sostenere la libertà
delle iniziative imprenditoriali e, nello stesso tempo, far crescere una rinnovata responsabilità
sociale, perché il profitto non sia l’unico criterio-guida.
In questa prospettiva vanno stimolate, accolte e sostenute le iniziative che, a tutti i livelli,
sollecitano le imprese al rispetto dei diritti umani fondamentali di lavoratrici e lavoratori,
sensibilizzando in tal senso non solo le istituzioni, ma anche i consumatori, la società civile e le
realtà imprenditoriali. Queste ultime, quanto più sono consapevoli del loro ruolo sociale, tanto più
diventano luoghi in cui si esercita la dignità umana, partecipando così a loro volta alla costruzione
della pace. Su questo aspetto la politica è chiamata a svolgere un ruolo attivo, promuovendo un
giusto equilibrio tra libertà economica e giustizia sociale. E tutti coloro che operano in questo
campo, a partire dai lavoratori e dagli imprenditori cattolici, possono trovare sicuri orientamenti
nella dottrina sociale della Chiesa.
Cari fratelli e sorelle! Mentre cerchiamo di unire gli sforzi per uscire dalla pandemia, vorrei
rinnovare il mio ringraziamento a quanti si sono impegnati e continuano a dedicarsi con generosità
e responsabilità per garantire l’istruzione, la sicurezza e la tutela dei diritti, per fornire le cure
mediche, per agevolare l’incontro tra familiari e ammalati, per garantire sostegno economico alle
persone indigenti o che hanno perso il lavoro. E assicuro il mio ricordo nella preghiera per tutte le
vittime e le loro famiglie.
Ai governanti e a quanti hanno responsabilità politiche e sociali, ai pastori e agli animatori delle
comunità ecclesiali, come pure a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, faccio appello
affinché insieme camminiamo su queste tre strade: il dialogo tra le generazioni, l’educazione e il
lavoro. Con coraggio e creatività. E che siano sempre più numerosi coloro che, senza far rumore,
con umiltà e tenacia, si fanno giorno per giorno artigiani di pace. E che sempre li preceda e li
accompagni la benedizione del Dio della pace!

Dal Vaticano, 8 dicembre 2021
Francesco

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