La liturgia del Triduo Pasquale

 
 
Il Triduo Pasquale costituisce il «culmine dell’intero anno liturgico»: così è presentato il Triduo Pasquale. Per questo l’Ufficio liturgico diocesano, in questi ultimi tre anni, ha dedicato la Giornata diocesana per gli operatori liturgici, proprio all’approfondimento e alla cura  delle celebrazioni del Triduo Pasquale. Don Silvano Sirboni, don Pierangelo Chiaramello e, poche settimane fa, don Paolo Tomatis ci hanno offerto preziosi contributi per mettere in atto celebrazioni che presentano un programma celebrativo complesso e  richiedono, di conseguenza, un serio sforzo a livello di regia celebrativa e di piena collaborazione tra i presbiteri, gli operatori liturgici e tutto il gruppo liturgico.
Così infatti sottolinea il documento della Congregazione per il Culto Divino «Paschalis Sollemnitatis»: «La Chiesa celebra ogni anno i grandi misteri dell’umana redenzione dalla Messa vespertina del giovedì nella Cena del Signore, fino ai vespri della domenica di risurrezione. Questo spazio di tempo è chiamato giustamente il ‘triduo del crocifisso, del sepolto e del risorto’; ed anche ‘Triduo pasquale’ perché con la sua celebrazione è reso presente e si compie il mistero della pasqua, cioè il passaggio del Signore da questo mondo al Padre. Con la celebrazione di questo mistero la Chiesa, attraverso i segni liturgici e sacramentali, si associa in intima comunione con Cristo suo sposo».
 La celebrazione annuale della Pasqua, a livello rituale, si articola in due momenti (attenzione, si è detto due!): passione/morte e resurrezione del Signore Gesù Cristo.
Morte e resurrezione non sono, infatti, mai disgiunte: se ci fosse solo il segno della morte, l’amore di Cristo sarebbe un dono, ma non vita eterna; se Cristo avesse manifestato solo la sua potenza, senza passare attraverso la croce, l’amore di Dio non avrebbe assunto la nostra condizione umana.
La passione/morte è celebrata nella Liturgia del Venerdì Santo; la resurrezione nella Liturgia della Veglia Pasquale. A questi due momenti apice, si fa precedere la celebrazione vespertina del Giovedì Santo sera, che costituisce la soglia, che fa passare dalla Quaresima l’ingresso al Sacro Triduo e fa memoria:
– dell’istituzione dell’Eucaristia
– dell’istituzione del sacerdozio ministeriale
– del comandamento del Signore sulla carità fraterna,
La Messa in Cœna Domini si pone, quindi, come ricordo del momento in cui Cristo, prima di consegnarsi alla morte, affida per sempre alla sua Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, perché questa lo perpetui in sua memoria. «Con la Messa celebrata nelle ore vespertine del Giovedì Santo, la Chiesa dà inizio al Triduo pasquale e ha cura di far memoria di quell’ultima cena in cui il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, amando sino alla fine i suoi che erano nel mondo, offrì a Dio Padre il suo Corpo e Sangue sotto le specie del pane e del vino e li diede agli apostoli in nutrimento e comandò loro e ai loro successori nel sacerdozio di farne l’offerta… Tutta l’attenzione dell’anima deve rivolgersi ai misteri che in questa Messa soprattutto vengono ricordati: cioè l’istituzione dell’eucaristia, l’istituzione dell’ordine sacerdotale e il comando del Signore sulla carità fraterna».
D’altra parte il sacerdozio ministeriale e la carità – quest’ultima resa «visibile» dal rito della lavanda dei piedi – costituiscono le componenti irrinunciabili di ogni Eucaristia.
La celebrazione, allora, richiama
·                     gli elementi originari dell’Eucaristia, così come è stata istituita in quell’ultima Cena
·                     il suo legame con il Mistero pasquale, di cui è oggi, come allora, attuazione sacramentale. I momenti fondamentali della celebrazione del Giovedì Santo sono:
– l’accoglienza degli oli santi, benedetti dal vescovo nella Messa crismale, celebrata in cattedrale la mattina
–  la liturgia della Parola
–  la lavanda dei piedi
–  la Liturgia Eucaristica
–  la reposizione del Santissimo Sacramento, in luogo idoneo all’adorazione (da non confondere con il «sepolcro»: le ostie consacrate per l’adorazione e per la comunione del Venerdì Santo sono Cristo vivo e vivente in mezzo a noi!).
 
L’accoglienza degli Oli – Mentre si esegue il canto si avvia la processione di ingresso, formata dal il sacerdote e dai ministri con gli oli sacri. Questi, giunti in mezzo alla navata centrale, si fermano. Salito all’altare il presidente bacia e incensa la mensa e poi attende presso l’altare con il turibolo fumigante.
Il presbitero o un altro ministro, (non dall’ambone), può presentare alla comunità gli oli che, successivamente vengono deposti sull’altare. A questo punto, mentre  il presidente incensa, l’assemblea può fare un canto di rendimento di grazie. Occorre fare attenzione che il Crisma sia posto al centro rispetto agli altri due oli. I vasi degli oli sacri si rimuovono dall’altare al termine della preghiera universale e si portano alla credenza.
La spogliazione dell’altare, (se è opportuno) la velatura della croce e delle statue, fatte in silenzio al termine della celebrazione, esprimono il sentimento che la Chiesa tutta è in di adorazione. Chiediamoci, allora, che senso abbia accendere candele e restare in preghiera davanti a statue di gesso, quando sull’altare della reposizione c’è Cristo!
«Terminata la Messa viene spogliato l’altare della celebrazione. È bene coprire le croci della chiesa con un velo di colore rosso o violaceo, a meno che non siano state già coperte il sabato prima della domenica V di quaresima. Non possono accendersi le luci davanti alle immagini dei santi» (Congregazione per il Culto Divino «Paschalis Sollemnitatis»).
Qualche indicazione sulla lavanda dei piedi – La lavanda dei piedi, sta a significare il servizio e la carità di Cristo, che venne «non per essere servito, ma per servire». Sarebbe significativo recuperare oggetti della nostra cultura: catino e brocca in ceramica bianca o in metallo smaltato, asciugatoio di tela potrebbero essere disposti in un luogo opportuno, su un tappeto rosso, sin dall’inizio della celebrazione.
La lavanda dei piedi non è e non può ridursi ad un’imitazione dell’agire di Cristo: pertanto non esiste alcun vincolo sul numero dodici, anzi! Quel che più conta è la verità del gesto, per cui è bene scegliere membri della comunità che in qualche modo testimonino un impegno verso i poveri. Durante il rito si può eseguire un canto improntato al tema della carità e della comunione fraterna, ma si può anche scegliere di eseguire solo musica strumentale così da sottolineare maggiormente il gesto liturgico che si sta compiendo. È opportuno intercalare al canto o alla musica la lettura delle antifone riportate dal messale (pagg. 136-137) o di alcuni versetti tratti dalle letture della Messa.
Alla sede o alla credenza, mai sull’altare, il presidente depone la casula e riceve il grembiule e con l’aiuto del diacono o di un ministro, procede alla lavanda. Risalito in presbiterio riveste la casula. Si omette la professione di fede e al termine si rimuovono dall’altare i tre vasi degli oli sacri, che erano stati accolti, presentati e incensati all’inizio della celebrazione.
Concludiamo sottolineando l’importanza di presentare in modo idoneo gli oli santi alla comunità nel tempo di adorazione eucaristica al termine della celebrazione.
Terminata l’orazione dopo la comunione, si forma la processione che, attraverso la chiesa, accompagna il santissimo Sacramento al luogo della reposizione. Intanto si canta un canto eucaristico.
Il Sacramento dovrebbe essere custodito in un tabernacolo chiuso (ricordiamo che non si potrebbe mai fare l’esposizione con l’ostensorio).
Terminata la Messa nella Cena del Signore, si invita la comunità a sostare in preghiera per un congruo spazio di tempo nella notte per la dovuta adorazione al santissimo Sacramento. Durante l’adorazione eucaristica protratta, può essere opportuno leggere qualche parte del Vangelo secondo Giovanni (cc. 13-17).
Mentre si esegue il canto si snoda la processione di ingresso, nella quale il presidente è preceduto da ministri con gli oli sacri. Questi, giunti in mezzo alla navata centrale, si fermano. Salito all’altare il presidente bacia e incensa la mensa e poi attende presso l’altare con il turibolo fumigante.
Un lettore, non dall’ambone, introduce la presentazione degli oli e il canto («A te, Signore, la lode») sottolinea la presentazione di ogni singolo vaso d’olio, deposto sull’altare. Mentre l’assemblea acclama, il presidente incensa restando dal lato da cui presiede l’Eucaristia. Occorre fare attenzione che il Crisma sia centrale rispetto agli altri due oli che vengono presentati prima. I vasi degli oli sacri si rimuovono dall’altare al termine della preghiera universale e si portano alla credenza.
 

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