Gaudete!

Rallegratevi! Gioite! Siate lieti! In questa terza domenica di Avvento siamo chiamati a innalzare lo sguardo, a ridestare la speranza perché: il Signore è vicino (antifona di ingresso). Egli ha ascoltato il grido del povero, si è ricordato della sua misericordia (1° lettura). Presto lo Sposo tanto atteso giungerà (Vangelo), assumendo la nostra carne mortale ci rivestirà delle vesti di salvezza e ci avvolgerà con il manto della giustizia (1° lettura). Il tema della gioia caratterizza questo tempo di Avvento, una letizia che sgorga dalla speranza, dalla fiducia, dall’annuncio di Giovanni Battista: presto viene in mezzo a noi il Messia atteso, la Luce che non conosce tramonto. L’invito alla gioia che viene dalla parola di Dio non è rivolto agli spensierati, agli incoscienti, ma a tutti coloro che conoscono la fatica del cammino, l’ingiustizia e il dolore della terra. 

Come nella lettera ai Tessalonicesi (2° lettura), così anche alla comunità cristiana radunata per l’Eucaristia è donato un annuncio di gioia: siate sempre lieti (1 Ts 5,16). In particolare, all’inizio della celebrazione eucaristica il saluto del celebrante invita alla gioia per la presenza del Signore risorto in mezzo al suo popolo: Il Dio della speranza, che ci riempie di ogni gioia e pace nella fede per la potenza dello Spirito Santo, sia con tutti voi. (Rm 15,13). Così pure siamo chiamati, insieme agli angeli e i santi, a esultare e cantare nell’inno del Sanctus. La gioia, infine, accompagna l’annuncio del Vangelo al termine della liturgia (congedo): La gioia del Signore sia la vostra forza. Andate in pace; oppure: Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto
Nella liturgia, l’invito alla gioia non caratterizza solo alcuni tempi liturgici (Avvento, Natale, Pasqua ecc.) o singoli momenti della celebrazione, ma è l’atmosfera che dovrebbe caratterizzare ogni liturgia. Perché il rito cristiano ama rivestirsi dell’abito della festa più che presentarsi con i tratti seriosi o drammatici. L’atmosfera gioiosa, lieta, leggiadra è per così dire la forma che ama indossare per poter esprimere il suo volto più vero: una comunità radunata per ricevere un annuncio di grazia: Lo spirito del Signore è su di me … mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,a proclamare la libertà degli schiavi, la carcerazione dei prigionieri (Is 61,1). 
Ogni festa ha i suoi linguaggi e i suoi riti: necessita di uno spazio accogliente e addobbato, della festosa partecipazione degli invitati, di abbondanza di cibo e di bevande, del coinvolgimento spontaneo di tutti. Soprattutto, presuppone un evento di cui fare memoria e che si consuma insieme attraverso questi linguaggi. Una festa ben riuscita presuppone, infatti, una motivazione condivisa altrimenti, si trasforma ben presto in una noiosa riunione. La noia, è infatti la “brutta copia” della festa, il volto deturpato della gioia: ci si annoia quando non ci si sente coinvolti, quando il motivo della festa ci sconosciuto o indifferente. 
Le nostre liturgie indossano troppo spesso l’abito della noia più che quello della festa. Spesso ci si illude di poter festeggiare strumentalizzando i riti: il raduno, il cibo, il canto, l’eccedenza; dimenticando il festeggiato, l’Ospite. Solo recuperando il motivo profondo e serio della festa sarà possibile riaccendere i riti della gioia. Una animazione liturgica ingenua e superficiale cade spesso nella tentazione di creare un’atmosfera festosa strumentalizzando i riti. Infatti, l’aggiunta di un canto, del battito delle mani, o di un nutrito rinfresco dopo la Messa, non saranno mai capaci di generare una autentica festa cristiana. Il cuore della festa dimora mistero celebrato, nella presenza dell’atteso, nella gioia di un incontro a lungo atteso.

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