Cinquanta giorni di festa


Il tempo pasquale distende nel tempo il clima festoso del giorno di pasqua. Il canto dell’alleluia, che ha interrotto il digiuno quaresimale, si prolunga nei cinquanta giorni e culmina con la solennità di Pentecoste. Anche la festosa luce del Cero pasquale illumina l’intero tempo della festa, e ci invita a mantenere accesa la memoria della notte più splendente del giorno (preconio pasquale).
Così infatti troviamo esplicitato nelle Norme Liturgiche del Calendario Romano: «I cinquanta giorni che si succedono dalla domenica di Risurrezione alla domenica di Pentecoste si celebrano nell’esultanza e nella gioia come un solo giorno di festa, anzi come la “grande domenica”. Sono i giorni nei quali, in modo del tutto speciale, si canta l’Alleluia» (n° 22).

Tutta la liturgia del tempo pasquale si caratterizza per questa atmosfera di letizia e ci invita a riscoprire il volto sincero della festa cristiana. Le nostre liturgie, infatti, sembrano non creare più quell’incanto che caratterizza la solennità e i riti e, troppo spesso, non riescono a suscitare i sentimenti di gioia e ed esultanza che contraddistinguono la festa. Un velo di opacità e di noia sembra insidiare la liturgia cristiana. Le cause sono molteplici e vanno ricercate in quel complesso intrigo di fattori sociali e culturali che hanno profondamente trasformato la festa del nostro tempo. La liturgia cristiana, tuttavia, custodisce in sé i linguaggi elementari del fare festa: il raduno, il coinvolgimento, il banchetto, il canto, le luci, i fiori, i colori e i profumi, ecc.
Gli ingredienti indispensabili sono tutti presenti: spesso, però, ciò che manca è l’arte del giusto “dosaggio”, per rimanere nella metafora culinaria. Ciò che guasta la festa cristiana, è quel diffuso clima “festaiolo” di cui non riusciamo a fare a meno. Elementi “decorativi” che vanno a sovrapporsi come una guarnizione alla celebrazione liturgica, per renderla più appetibile e desiderabile: aggiunte di elementi simbolici estranei al rito, modifiche arbitrarie ai testi previsti del Messale; introduzioni e commenti; elementi descrittivi al tempo liturgico: cartelloni, poster, disegni, gesti allegorici, ecc. Sovrapposizioni che soffocano la forza dei linguaggi propri del rito e che, il più delle volte, sollecitano una partecipazione superficiale e di breve durata.
In altri casi, la festa cristiana viene svilita dall’appiattimento di quel ritmo necessario che alterna saggiamente la festa all’ordinarietà. “Spalmare” la festa un po’ ovunque, spesso è la causa prima della noia.

La liturgia cristiana, invece, sin dall’origine ha ritmato la festa collocandola solo al termine di un tempo ordinario o di attesa. Così il tempo feriale in rapporto alla domenica, o il tempo di Quaresima in rapporto alla Pasqua.
La festa è generata dal desiderio, e quando questa è troppo “accessibile” si svilisce e, di conseguenza, annoia! Per gustare il clima festoso del tempo pasquale è necessario ritrovare il sapore della semplicità che caratterizza liturgia ordinaria e accordare maggiore fiducia alla forza dei linguaggi essenziali del rito. Solo così si potrà ritrovare l’”arte” del fare festa senza l’affanno di dover gareggiare con i modelli culturali del nostro tempo che divorano la festa per soddisfare i bisogni dell’economia del mercato.

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