La Parola e il Pane: l’unità delle due mense

Nella celebrazione liturgica, la liturgia della Parola e la liturgia del sacramento sono così strettamente legate da costituire un unico atto di culto. Uno solo e identico, infatti, è il Pane di Vita che si dona ai fedeli, nella forma della Parola e del sacramento. Si tratta di due momenti speculari nelle loro dinamiche: come nella liturgia eucaristica l’umanità del pane diventa sacramento della divinità del corpo, così nella liturgia della Parola l’umanità della voce permette alla lettera delle Scrittura, sigillata nel libro, di diventare parola viva del Dio vivente; come nella comunione mastichiamo e assimiliamo in noi il sacramento eucaristico, così nella liturgia della Parola spezziamo la Parola, la mastichiamo (soprattutto nell’omelia) per assimilarci ad essa. Come i discepoli di Emmaus, anche noi, seguendo il sentiero della celebrazione eucaristica, siamo illuminati da quelle parole che invitano a riconoscerlo presente nei gesti e nelle parole dell’ultima cena: “Questo è il mio corpo”, “Questo è il calice del mio sangue”. Come nella Pasqua di Gesù si compie ogni sua parola, così nel sacramento eucaristico si compie la liturgia della Parola.

Come far trasparire questa verità nelle nostre celebrazioni? Anzitutto vigilando perché i due momenti della celebrazione sacramentale siano equilibrati e proporzionati nella durata e nel ritmo. Una liturgia della Parola troppo lunga e “pesante” fatalmente costringe a sveltire i gesti e le preghiere della liturgia eucaristica; anche là dove ciò non accadesse, si espone il rito ad una lunghezza eccessiva, che fa giungere stanchi al cuore della celebrazione. All’opposto, una liturgia della Parola troppo scarna e frettolosa (è il caso di certe messe feriali, o di certe celebrazioni sacramentali, come il battesimo), quando non totalmente assente (è il caso del sacramento della Penitenza), mortifica il senso dell’assemblea convocata dalla parola del Signore, che può ricevere il dono di Dio solo in un atteggiamento di ascolto e disponibilità. Da qui l’invito generale a custodire la sapienza della forma della liturgia, obbedendo alla sua struttura fondamentale: ad esempio, non inserendo di norma, nella liturgia della comunità parrocchiale, altri elementi che ne oscurano l’impianto di fondo (la liturgia delle ore, l’adorazione, meditazioni bibliche dentro la messa…).

Un secondo suggerimento è quello di valorizzare gli elementi eucaristici presenti nella liturgia della Parola, come il rendimento di grazie (nell’acclamazione: “Rendiamo grazie a Dio”), il sacrificio delle labbra che confessano il suo nome (nel Credo) e fanno salire a Dio la supplica per l’intera umanità (nella preghiera dei fedeli, che in modo significativo costituisce il raccordo con la liturgia del sacrificio eucaristico). Allo stesso modo, si può valorizzare la presenza della Parola ascoltata nei riti di comunione, riscoprendo la funzione rituale dell’antifona di comunione, proposta dal Messale.

Infine possono essere valorizzate alcune corrispondenze tra le due mense: – il luogo liturgico dell’altare e dell’ambone, che nella loro forma e nella scelta dei materiali devono richiamarsi a vicenda e dialogare tra loro, pur nel rispetto della centralità dell’altare; – l’acclamazione che sigilla la proclamazione delle letture (“Parola di Dio”), cui segue la risposta di lode, e l’acclamazione con cui è offerto il dono della comunione eucaristica (“Il corpo di Cristo”), cui segue l’adesione della fede; – il silenzio di meditazione che è bene lasciare dopo l’omelia e il silenzio di adorazione e ringraziamento che è bene far seguire alla comunione; – l’orazione che chiude la liturgia della Parola, che può far risuonare i temi delle letture ascoltate e commentate, e l’orazione che chiude i riti di comunione, che come un’eco fa risuonare e commenta l’esperienza della comunione eucaristica.

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