I. Dal mercoledì delle Ceneri…

L’inizio del tempo Quaresimale è caratterizzato da un portico: il mercoledì delle ceneri. Questa celebrazione, unica nel suo genere, ci introduce nel tempo della conversione e della rinascita. I segni della cenere e del digiuno che la contraddistinguono sono, nello stesso tempo, espressione di tutto il cammino quaresimale e anticipazione della meta pasquale. Il digiuno, infatti, è espressione del desiderio di conversione; la cenere, frutto della combustione dei rami di palma, sono preludio della rinascita pasquale che distrugge per sempre la presunzione del peccato di Adamo. Come osserva G. Zanchi, “il rito di imposizione delle ceneri chiede un gesto di umiltà, non di umiliazione. Sono due cose diverse. La materia, di cui quel gesto si serve, chiama direttamente in causa la fantasia plasmatrice della creazione, non l’inerzia annientatrice della finitezza. La cenere sul nostro capo serve a riportarci al fango della creazione, condurci alla sorgente originaria da cui proveniamo. La richiesta implicita è quella di deporre ogni illusorio disegno di solitaria presunzione” .
 
Il cammino quaresimale di quest’anno, caratterizzato dalle letture Lezionario A, costituiscono un itinerario battesimale a tappe che ha come meta il santo Triduo Pasquale, centro e culmine dell’anno liturgico. Un primo suggerimento liturgico-pastorale, è di rendere più “agile” il cammino verso la meta pasquale, senza ulteriori appesantimenti. Questa esigenza di sobrietà dovrebbe essere come il buon profumo che si diffonde e si espande in ogni ambito pastorale, e non solo una esclusiva liturgica. Spesso i nostri cammini pastorali, proprio nei momenti più intensi dell’anno liturgico, si ingolfano di iniziative, necessità, nuove proposte che rischiano di disperdere e affannare ogni buon proposito. Anche la liturgia dovrebbe indossare l’abito di sacco e coprire il capo di cenere. Una immagine eloquente, per richiamare la necessità di un mutamento, di una spogliazione. La liturgia quaresimale, infatti, dovrebbe deporre i vestiti della festa, per indossare quelli della conversione: l’ascolto, il silenzio, il digiuno, il ritmo calmo della meditazione, il canto sobrio, la musica discreta, l’uso della parola ridotta all’essenziale. Un deserto per gli occhi e per il cuore, per ritrovare il gusto dell’essenziale. Occorre però accompagnare la spogliazione con una cura e una intensità che non lascia spazio alla vacuità e alla mediocrità. Se il canto tace, il silenzio deve vibrare; se la parola è moderata, il gesto deve essere eloquente; se i fiori o le immagini vengono tolte, occorre valorizzare l’ambone, l’altare, la croce. Anche l’uso della parola dovrebbe conoscere una cura tutta particolare: la valorizzazione della liturgia della Parola, la cura per l’omelia, l’attenzione ad una preghiera dei fedeli intensa, la scelta di una buona qualità di testi per i canti.
Inoltre, si potrebbero valorizzare alcuni momenti rituali spesso trascurati: il canto del Kyrie eleison e dell’Agnello di Dio, con una litania più lunga e possibilmente cantata; la proclamazione della Parola di Dio con lettori preparati e non improvvisati; una proclamazione della Parola più calma e meno affrettata; il canto del salmo responsoriale; una processione offertoriale silenziosa, l’acclamazione al mistero della fede con la terza formula (Tu ci hai redenti con la tua Croce…).
Infine, raccomandiamo l’osservanza del silenzio. prima dell’inizio della celebrazione, evitando le prove di canto eccessivamente lunghe, il chiacchiericcio dell’assemblea che spesso distrae e infastidisce e la frenesia dei preparativi dell’ultimo minuto. Tutto ciò saprà creare quel giusto clima di raccoglimento che predispone all’ascolto, alla condivisione, all’incontro sincero e così accogliere l’invito di Dio: «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2 Cor 6,1).
Morena Baldacci – Ufficio Liturgico diocesano
 
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