I segni (sobri) della Quaresima

La Quaresima è un tempo liturgico ricco di segni e di simboli, che dicono insieme conversione e lotta, desiderio e penitenza attesa e condivisione. Dal simbolismo del numero 40, ai grandi simboli dell’ascesi quaresimale, come la cenere, il digiuno e le altre opere della penitenza (varie forme di astinenza), della preghiera e della carità, la Quaresima scrive sul corpo la sete di Dio e il desiderio di tornare a Lui con tutto il cuore. I grandi simboli della parola di Dio quaresimale il deserto, il monte, l’acqua, la luce, la vita, la croce – non hanno tuttavia trovato nei primi secoli una traduzione pratica nella liturgia: non ci si è tanto preoccupati di sottolineare con gesti e immagini la ricchezza del simbolismo quaresimale. Piuttosto la Quaresima si è sempre caratterizzata per la tendenza a togliere, a creare uno spazio vuoto, tanto nel corpo, quanto nella liturgia. Per antica tradizione, in Quaresima non si canta il Gloria e l’Alleluia; il suono dell’organo è limitato, e i fiori sono fuori posto sull’altare; le immagini sono velate e le suppellettili (i candelabri delle nostre chiese barocche) ridotte; inoltre è bene non celebrare battesimi, matrimoni, né messe di «prima comunione».

È una sobrietà che colpisce, e in qualche modo urta con la nostra esigenza di sottolineare con segni e simboli la ricchezza della quaresima, per far entrare, per coinvolgere, soprattutto i più piccoli. È una sobrietà che vale essa stessa come simbolo, di una povertà e di un’austerità che attende la Pasqua perché la vita risorga, e fiorisca nei suoi colori e nelle immagini, nella festa del canto e nella gioia del corpo. In Quaresima tutto richiama all’essenziale: anche la ricchezza delle catechesi battesimali della terza, quarta e quinta domenica di quaresima, attende la notte di Pasqua per dare corpo e voce a quei simboli  l’acqua, la luce, la vita  che prima sono interiorizzati dall’ascolto della Parola.

Un invito a spegnere le molte iniziative che rendono la liturgia domenicale della Quaresima più curata e più attenta dal punto di vista pedagogico? Non si tratta di fare i pompieri: si tratta anzitutto di riconoscere il primato della Pasqua sulla quaresima, così che è buona regola della liturgia non anticipare troppo, non sovraffollare, duplicando i simboli. Così, ad esempio, la simbolica dell’acqua e della luce attende la Pasqua per esprimere con potenza il suo senso battesimale. È vero che ogni domenica è celebrazione del mistero pasquale di morte e risurrezione: come dicevano gli antichi padri della chiesa, per un cristiano che ha compreso l’infinito valore del dono di Gesù Cristo, ogni giorno è Pasqua (Origene). Ma è altrettanto vero che per un cristiano che cammina nella fede e nella speranza, ogni giorno è pasqua/passaggio di morte a stessi, di rinuncia al proprio orgoglio, per entrare nel regno di Dio. Con le sue pratiche e i suoi riti, la Quaresima ci ricorda proprio questo: che tutta la vita ha bisogno di silenzio e distacco dai beni, di digiuno di parole, suoni, cibo, rapporti immediati, per conoscere da chi siamo davvero abitati, e per fare spazio al Signore.

Non si tratta, dunque, di fare un teatrino, di far finta di essere tristi almeno in Quaresima perché siamo peccatori, e il mondo è lontano da Dio. Si tratta di entrare fino in fondo nel mistero della Croce. Altri segni, apparentemente più semplici e meno spettacolari, attendono di essere valorizzati: il corpo che si prostra, in segno di penitenza; il digiuno effettivo, non ridotto alla semplice astinenza dalla carne; il silenzio, che rinuncia a dire l’ultima parola, nell’illusione che a forza di parole si possa convertire gli altri; il grido del cuore, che si fa supplica e invocazione ripetuta (Signore pietà; Ascoltaci, Padre; Agnello di Dio…) nella forma e nella forza del canto.

don Paolo Tomatis

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