Il Venerdì Santo

Qualche indicazione sulla lavanda dei piedi. La lavanda dei piedi, sta a significare il servizio e la carità di Cristo, che venne «non per essere servito, ma per servire». Sarebbe significativo recuperare oggetti della nostra cultura: catino e brocca in ceramica bianca o in metallo smaltato, asciugatoio di tela potrebbero essere disposti in un luogo opportuno, su un tappeto rosso, sin dall’inizio della celebrazione.

La lavanda dei piedi non è e non può ridursi ad un’imitazione dell’agire di Cristo: pertanto non esiste alcun vincolo sul numero dodici, anzi! Quel che più conta è la verità del gesto, per cui è bene scegliere membri della comunità che in qualche modo testimonino un impegno verso i poveri. Durante il rito si può eseguire un canto improntato al tema della carità e della comunione fraterna, ma si può anche scegliere di eseguire solo musica strumentale così da sottolineare maggiormente il gesto liturgico che si sta compiendo.

È opportuno intercalare al canto o alla musica la lettura delle antifone riportate dal messale (pagg. 136-137) o di alcuni versetti tratti dalle letture della Messa. Alla sede o alla credenza, mai sull’altare, il presidente depone la casula e riceve il grembiule e con l’aiuto del diacono o di un ministro, procede alla lavanda.

Risalito in presbiterio riveste la casula. Si omette la professione di fede e al termine si rimuovono dall’altare i tre vasi degli oli sacri, che erano stati accolti, presentati e incensati all’inizio della celebrazione.

Concludiamo sottolineando l’importanza di presentare in modo idoneo gli oli santi alla comunitàdel tempo di adorazione eucaristica al termine della celebrazione. Terminata l’orazione dopo la comunione, si forma la processione che, attraverso la chiesa, accompagna il santissimo Sacramento al luogo della reposizione. Intanto si canta un canto eucaristico.

Il Sacramento dovrebbe essere custodito in un tabernacolo chiuso (ricordiamo che non si potrebbe mai fare l’esposizione con l’ostensorio). Terminata la Messa nella Cena del Signore, si invita la comunità a sostare in preghiera per un congruo spazio di tempo nella notte per la dovuta adorazione al santissimo sacramento. Durante l’adorazione eucaristica protratta, può essere opportuno leggere qualche parte del Vangelo secondo Giovanni (cc. 13-17).

         

Venerdì santo

La Giornata diocesana degli Operatori liturgici dello scorso anno, aveva dedicato la propria attenzione all’approfondimento della celebrazione della Passione del Signore e oggi proviamo a richiamarne qualche aspetto per aiutare i gruppi liturgici a preparare una delle celebrazioni più significative di tutto l’anno liturgico.

«In questo giorno, in cui ‘Cristo nostra pasqua è stato immolato’, la Chiesa con la meditazione della passione del suo Signore e sposo e con l’adorazione della Croce commemora la sua origine dal fianco di Cristo, che riposa sulla croce, e intercede per la salvezza di tutto il mondo (Congregazione per il Culto Divino, Paschalis Sollemnitatis, 58). La celebrazione, quindi, pur avendo un certo carattere di semplicità nel canto, di sobrietà negli addobbi, di silenzio, non deve mai scadere in un clima di lutto. Ciò che celebriamo, infatti, è sempre un evento di salvezza, dunque di vita: l’amore di Dio, che donandosi, genera la Chiesa.

L’elemento rituale caratteristico del Venerdì Santo, unitamente al digiuno, è la celebrazione della Passione del Signore (e non la Via Crucis più o meno solenne per le vie del borgo, come ci ricorda il Direttorio sulla Pietà popolare). Un suggerimento potrebbe essere quello di anticipare la Via Crucis ad un altro giorno della settimana santa, ricordando che una Via Crucis ben curata, costituisce un significativo momento di preghiera e di contemplazione in preparazione al Triduo Pasquale.

In questo giorno la Chiesa non celebra la Liturgia eucaristica, ma celebra la Liturgia della Parola, che ha il suo centro nella proclamazione della Passione secondo Giovanni, dove la morte di Gesù non è un fallimento, ma un trionfo.

È «elevazione», nel duplice significato di elevazione sulla croce e di elevazione alla gloria: dall’alto della croce, suo trono e suo tribunale, Egli regna e salva. Nella celebrazione della Passione, un’attenzione particolare deve essere data al clima di silenzio e di raccoglimento.

Il rito inizia con l’entrata silenziosa e la prostrazione del presidente, senza canto d’ingresso e senza il saluto; quel silenzio diventa un gesto simbolico molto eloquente: «tale prostrazione, come rito proprio di questo giorno, si conservi con cura, per il significato che assume di un’umiliazione dell’«uomo terreno» e della mestizia dolorosa della Chiesa. Durante l’ingresso dei ministri i fedeli rimangono in piedi. Quindi anche loro si inginocchiano e pregano in silenzio».  (Congregazione per il Culto Divino, Paschalis Sollemnitatis, 65).

 L’ascolto della Parola di Dio suscita la risposta nella Preghiera Universale, mantenuta nella sua struttura rituale più antica di monizione introduttoria – silenzio – orazione conclusiva. Tale lunga preghiera è «espressione della potenza universale della passione di Cristo, appeso sulla croce per la salvezza di tutto il mondo» (Paschalis Sollemnitatis, 67)  infatti, si prega per la santa Chiesa, per il papa, per il clero e per tutti i fedeli, per i catecumeni, per l’unità dei cristiani, per gli Ebrei, per i non cristiani, per coloro che non credono in Dio, per i governanti e per i tribolati.

La Liturgia del Venerdì Santo ha anche un suo momento popolarmente molto sentito nell’adorazione della croce e nel successivo bacio da parte dei fedeli. Questo momento va collocato sullo sfondo dell’intera celebrazione. Il legno della croce, cui fu appeso il Cristo come il maledetto da Dio (cfr Gal 3, 13-14) è divenuto il segno della salvezza, il vanto unico del cristiano (cfr Gal 6,14). Così la croce diviene il Simbolo di speranza e di redenzione di tutte le sofferenze e i peccati dell’umanità.

Anche qui, per collocare nella giusta prospettiva questo gesto, ci viene in aiuto il testo liturgico dell’antifona che accompagna questa adorazione e che ne costituisce la chiave interpretativa:

 «Adoriamo la tua Croce, Signore,

   lodiamo e glorifichiamo la tua santa Resurrezione.

   Dal legno della Croce è venuta la gioia in tutto il mondo».

Non ritroviamo in queste parole quel «dolorismo» che ha caratterizzato il cristianesimo per molti secoli: con la riforma dei testi si è voluto sottolineare una volta di più la lode, il rendimento di grazie e, soprattutto, la gioia.

Ancora il documento Paschalis Sollemnitatis, al n.71, offre ancora preziose indicazioni per la conclusione della celebrazione: mentre l’assemblea si scioglie in silenzio, si procede alla spogliazione dell’altare, lasciando, in luogo adatto, la croce con quattro candelieri, affinché i fedeli la possano adorare e baciare e possano trattenersi in meditazione.

Silvia Vesco

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