La morte necessaria del chicco

L’antifona di comunione di questa settimana richiama il tema centrale del testo giovanneo: «Se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (cfr. Gv 12,24-25). La metafora del seme racconta di una morte necessaria, donatrice di vita. Se infatti il chicco di grano non muore, resta da solo (monos): così anche Gesù, l’Unigenito, è chiamato a sacrificare la sua vita, per guadagnare una moltitudine di fratelli. L’immagine dell’unico seme, che con la sua morte diviene fecondo e si moltiplica donando la vita, rivive nei gesti semplici e profondi dei riti di comunione.
La celebrazione eucaristica è, infatti, un convito pasquale (Ogmr 80): il suo senso attinge ai significati più profondi dell’esperienza umana. Il cibo, infatti, nel modo stesso in cui viene prodotto, rimanda necessariamente al suo carattere sacrificale. Il seme è generato dalla terra, ma è chiamato a morire: i chicchi di grano vengono raccolti, macinati, impastati e cotti; solo così doneranno nutrimento. Così perché vi sia il vino, per dissetare e allietare il cuore, è necessario recidere i grappoli dalla vite, schiacciarli e farli fermentare: solo così doneranno energia, vigore, vitalità, esuberanza. Pane e vino sono perciò simbolo della vita che per esistere necessita non solo di nutrimento ma anche di condivisione. Come un’esistenza solitaria rischia di divenire vuota di senso, così il pasto, pur essendo un bisogno individuale, necessita di consumarsi in un clima di condivisione, anzi è esso stesso donatore di fraternità e di vita.
Così leggiamo nell’Ordinamento generale del Messale Romano (= Ogmr): «Il sacerdote spezza il pane eucaristico […]. Il gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell’ultima Cena, che sin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l’azione eucaristica, significa che i molti fedeli, nella Comunione dell’unico pane di vita, che è Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo, costituiscono un solo corpo» (n. 83). Un solo pane spezzato, per nutrire tutti gli invitati; un solo calice versato, per redimere il peccato di molti. Possiamo così comprendere l’importanza di spezzare e distribuire almeno una parte delle ostie consacrate nella stessa celebrazione eucaristica (Ogmr 85), l’opportunità di collocare sull’altare una sola patena e una solo calice (Ogmr 331), l’importanza di compiere con dignità il gesto della frazione del pane accompagnata dal canto.
In questa quinta domenica di Quaresima, possiamo restituire pieno significato al rito della frazione del pane: compiendo il gesto con solennità, senza eccessiva enfasi, ma con piena consapevolezza del suo profondo significato. In particolare, raccomandiamo ai ministri straordinari della Comunione di evitare di avvicinarsi all’altare durante la frazione del pane, per evitare inutili distrazioni. Di particolare importanza è il canto della litania all’Agnello di Dio che accompagna il gesto della frazione del pane. Il riferimento all’immagine dell’Agnello e il gesto sacrificale della frazione, narrano con eloquenza il mistero di amore che si sta consumando: l’Agnello implorato è l’Innocente, che porta su di sé il peccato del mondo (Gv 1,29). È il senza macchia (1 Pt 2, 22.24), è l’Agnello vittorioso, che ritto sul trono, dona al mondo la pace (Ap 13,8). Perciò, raccomandiamo ai presbiteri e agli animatori del canto di non sovrapporre lo scambio della pace con il canto dell’Agnello di Dio. Il rito della pace, infatti, non prevede nessun canto, mentre è bene accompagnare il rito della frazione con il canto della litania che, in questo caso, può prolungarsi per tutto il tempo necessario.

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