Caro fratello vescovo, sono una mamma Rom…

Risposta alla Lettera pastorale di mons. Nosiglia

La Lettera pastorale «Non stranieri…», indirizzata ai popoli nomadi, ha suscitato molto interesse non solo a Torino ma in molte parti d’Italia, dove è stata letta e commentata. Ci sono state reazioni sia positive che critiche – come è comprensibile, data la delicatezza del tema. Fra i messaggi giunti a mons. Nosiglia la lettera di una mamma che vive nel campo Rom di Pisa, pubblicata su «La Voce del Popolo» del 4 novembre 2012.

 
 
Caro fratello vescovo di Torino, sono una giovane mamma Rom di 4 bambini, abito in un campo Rom di Pisa. Giorni ho avuto la sorpresa e la gioia di leggere la sua lettera indirizzata ai Rom e Sinti di Torino. Me l’ha fatta leggere un sacerdote che vive con noi e che voleva sapere il mio parere. Io non leggo molto bene, ma le sue parole sono arrivate al mio cuore. Allora, ho sentito subito il bisogno di risponderti, soprattutto per ringraziarti, perché secondo me sei riuscito a capire la nostra vita, fatta di cose belle e brutte. Vorrei dire e raccontare tante cose che mi passano per la testa, e so che sono anche le stesse della mia gente. Ricordo che anche il vescovo di Pisa due anni fa è venuto qui al nostro campo, è stato un bel momento di incontro e di ascolto reciproco. Ha anche benedetto i nostri tanti bambini e il mio terzo figlio, che in quel momento era l’ultimo nato del campo, partecipando ad un momento di preghiera mussulmana. Ha lasciato un bel ricordo tra noi Rom.
 
Quello che tu ci dici lo sento vero soprattutto perché tu ti sei avvicinato a noi, e questo è molto bello per me. Quasi ogni giorno invece capita, a mei e ai mei, di sentire giudizi forti su di noi, da gente che mai si è avvicinata alla mia vita. Oggi, c’è anche gente che ci avvicina, ma rimane molto distante dalla nostra vita. È anche importante il «come» ci si avvicina alla vita dei Rom. Perché gli Italiani non sentono il bisogno di conoscerci veramente e invece preferiscono nascondersi dietro una certa paura e sospetto? È vero, questo dipende anche da noi, ma credo che la diffidenza più grande viene proprio dagli Italiani. Quindi mi è piaciuta tanto la tua lettera, quando inviti tutti quanti a conoscersi meglio, vincendo diffidenze e sospetti.
 
Ti ringrazio, caro vescovo perché sento che la tua lettera è il frutto di un incontro. Quando c’è l’incontro le persone imparano a conoscersi meglio, attraverso la fiducia nell’altro. Non si può giudicare una persona senza prima conoscerla. Noi Rom sentiamo forte sulla nostra pelle questo giudizio della gente, che tante volte ci condanna senza aver commesso alcun peccato. L’altro giorno con i miei bambini siamo andati in un parco divertimento per bambini. Mi ero seduta ad un tavolo a guardare i miei bambini giocare, al tavolo accanto stavano dei giovani italiani, subito uno ad alta voce invita la sua ragazza a spostare la borsa perché era arrivata la zingara! Non ti dico le altre parole minacciose contro di noi. Ecco, lì mi sono sentita condannata senza aver nemmeno sfiorato l’idea di allungare la mano. Questo mi ha molto ferita dentro e ha rattristato quel momento di gioia che volevo vivere e dare ai miei figli.
 
È vero, non lo nascondo che non pochi Rom rubano… anche tu lo sai, ma questo non ti ha impedito di conoscerci e stare in mezzo a noi per ascoltare la nostra vita e di invitarci a non «perdere la fiducia».
 
Un’altra cosa che mi sembra importante, anche se un po’ difficile per me da spiegare. Credo che la gente (italiani) non può pensare di voler cambiare ad ogni costo il nostro essere Rom: le nostre tradizioni, l’importanza che diamo alla famiglia, ai nostri figli, il nostro modo di voler stare e vivere insieme, di volerci sposare giovani anche per avere tanti figli… che per noi Rom sono il nostro futuro e la nostra vera ricchezza. Ecco vorrei che chi ci frequenta impari ad accettare, comprendere e anche amare il nostro mondo, senza pretendere subito di cambiarlo, perché questo tocca a noi farlo. Noi spesso diciamo che se mi vuoi, accettaci come siamo: poveri, ricchi, sporchi, belli o brutti che sia: io sono quello che sono e se voglio cambiare tocca a me, a noi Rom, è importante rispettare i nostri tempi e i nostri modi.
 
Con queste parole, caro fratello vescovo ti saluto e ti ringrazio ancora per quello che hai voluto dire con il cuore ai Rom e anche ai gagè: Hacio e Devlesa (Rimani con Dio)!
 
Una mamma Rom di Pisa, felice dei suoi 4 figli.
Sevdjie HAMITI
 
condividi su