Da noi la montagna è tutto

UP 31-32 – DUE MESI, DA MAGGIO A LUGLIO PER INCONTRARE LE DUE UNITÀ PASTORALI PIÙ «RURALI» DELLA DIOCESI: 17 COMUNI DA BALANGERO A BALME
Da noi la montagna è tutto
Spopolamento, difficoltà di comunicazione, risorse poco sfruttate ma anche un territorio incontaminato dove alla fede antica di mescola l’amore per la terra
 
Il diavolo, si sa, costruì in una sola notte il ponte sulla Stura. Molto tempo dopo, la ferrovia arrivò fino a Ceres. Da allora – e son passati quasi cent’anni – non si registrano molti altri interventi rilevanti, per quanto riguarda le infrastrutture e le opere pubbliche. Lanzo e le sue valli, pur a pochi chilometri dalla metropoli, conservano un’aria (e un fascino) di lontananza, nello spazio come nel tempo. La bellezza selvaggia delle montagne e dei boschi, il panorama fiabesco che si gode dalle «terrazze» naturali di Monastero, di Mezzenile, di Sant’Ignazio non corrispondono né a una vita facile né ad uno sviluppo diffuso.
 
Storia e geografia
La crisi economica attuale viene a pestare ancora più duramente in un territorio che aveva difficoltà più antiche e strutturali: invecchiamento della popolazione, mancanza di posti di lavoro, scarso «rendimento» delle risorse turistiche e ambientali. «Per capire le Valli – dicono i preti delle due Unità pastorali 31-32 che l’Arcivescovo inizia questa settimana a visitare – bisogna tener presente la storia ma anche, e molto, la geografia». La storia dice che questo retroterra naturale di Torino era stato ampiamente valorizzato nella Belle Epoque, ai tempi della prima rivoluzione industriale. La ferrovia, iniziata nel 1868 e conclusa a Ceres nel 1916, a quei tempi era d’avanguardia, e contribuì non poco allo sviluppo economico e turistico, trascinando un indotto di centrali elettriche, stazioni sciistiche, case di villeggiatura, ville «importanti» (una per tutte: quella di Erminio Macario, sopra Ceres). Ma poi vennero due guerre mondiali, le ondate migratorie verso la pianura, la capitale, la fabbrica. Le Valli si spopolarono e non riuscirono più a tenere il passo con la crescita. Così oggi c’è un solo distributore di benzina per le Valli alte, a Ceres. Quello di Pessinetto ha chiuso da poco, e per tutti gli altri bisogna arrangiarsi, scendere a valle.
 
Una sola strada
Anche perché la geografia è sempre quella: una sola strada stretta da Lanzo a Forno Alpi Graie, centinaia di frazioni e borghi sulla montagna in cui l’inverno dura tutto l’anno; difficoltà oggettive di comunicazione, su qualunque supporto: persino le reti di internet e dei telefoni cellulari qui non hanno vita facile, molti hanno due Sim a seconda del ripetitore sotto cui si trovano… Le difficoltà di comunicazione hanno sempre favorito l’isolamento, e anche un atteggiamento, una cultura del «piccolo è bello» che non ha aiutato a costruire insieme. Vale per le amministrazioni locali come per le comunità ecclesiali. Solo negli anni più recenti e con le ultime generazioni queste distanze si cominciano a superare, e proprio a causa dello spopolamento.
 
Tutti i bambini delle Valli confluiscono nell’unica scuola media sopravvissuta, quella di Ceres. E lì, allora, conta meno essere di Cantoira o di Ala, di Chialamberto o di Traves. Nei centri più popolati (Lanzo, Balangero) la situazione è diversa, molto più simile al resto del territorio diocesano. E questo rende possibili iniziative e attività pastorali di maggiore respiro, anche se la situazione economica non favorisce in nessun modo l’aggregazione.
 
Verso il domani
Per ragionare di futuro occorre però una «mobilitazione» di ampio respiro. Le comunità cristiane hanno cominciato con il «Gal» (Gruppo di azione locale), che cerca di radunare giovani, amministratori pubblici, persone interessate a partecipare. Si tratta di «inventare» quasi tutto, ripartendo da quel che c’è e cercando di valorizzarlo. Le risorse del territorio, l’allevamento, i prodotti tipici ci sono, ma non c’è ancora quella «rete promozionale» che in altre parti del Piemonte (e molto più nella vicina Francia) ha contribuito a «fare sistema», come si dice oggi. È soprattutto nei prodotti tipici che si potrebbe lavorare: miele di montagna, toma, torcetti e biscotti, erbe officinali, mirtilli, cioccolato artigianale. Non si tratta solo di maquillage, ma di provare a lanciare delle forme di partecipazione più concrete ed efficaci delle attuali. Sarebbe importante un maggior ruolo del «pubblico» – amministrazioni comunali ma anche Provincia e Regione – per incoraggiare o sostenere un’iniziativa locale che non può essere lasciata nelle mani dei soli, singoli privati.
 
Anche perché i vecchi schemi, come quello del posto in fabbrica, non tengono più, o comunque non garantiscono la possibilità di vivere. La cartiera di Germagnano è sempre in attesa di un rilancio che non sembra imminente; a Balangero, Lanzo, Germagnano si vive soprattutto di pendolarismo. E anche così Torino rimane lontana: dalla parte di Viù non si scende neanche a Lanzo ma ad Avigliana, per arrivare poi in treno a Porta Nuova.
 
Si comprendono meglio le mobilitazioni per conservare alcuni servizi pubblici essenziali, come l’ospedale a Lanzo. Dover andare a Ciriè non significa solo allungare di altri 10 chilometri: vuol anche dire «allontanare» la cittadinanza di chi abita una terra difficile, abbassare ancora la qualità della vita…
 
Settori come quello del legno o dell’idroelettrico, che avrebbero il doppio vantaggio di produrre energia pulita e di tutelare meglio il territorio, sono ancora da sviluppare. E tutti guardano con terrore alla nuova tassa sulle seconde case. Ovunque si cerca di vendere o affittare ma la richiesta è molto scarsa. E per molti la «seconda casa sfitta» è in realtà la vecchia abitazione di famiglia, in cui si torna volentieri d’estate o nei fine settimana, per mantenersi attaccati alle radici. Ma se il carico fiscale diventerà insostenibile, anche questa modesta «ricchezza» si trasformerà in un peso ulteriore che affonderà le Valli. Il «turismo» – a Ceres, in Val Grande come a Viù – è fatto soprattutto da questi oriundi, che rappresentano un elemento importante non solo per l’economia ma anche per la cultura locale. Viù ha 66 cappelle in altrettante frazioni e borgate: e almeno una volta l’anno il parroco sale a celebrare la Messa. Ma almeno una volta l’anno significa più di una a settimana: e si torna a fare i conti con la geografia…
 
L’invecchiamento della popolazione ha toccato il suo picco alla fine del secolo scorso e ora sembra essersi assestato. Le famiglie giovani non mancano, anche se la loro presenza è strettamente connessa alla possibilità di lavoro, e le oscillazioni del «mercato» finiscono per cancellare anche presenze importanti, come sta accadendo ora in Val Grande. A ringiovanire un poco la popolazione sono… le badanti, che salgono per assistere gli anziani ma poi trovano anche opportunità di incontri che sfociano in matrimoni (e sono unioni, commentano i parroci, spesso più solide di quelle fra italiani…).
 
In generale la pastorale deve tener conto delle molteplici difficoltà della vita. I ragazzi delle superiori partono al mattino presto e risalgono da Lanzo alle 15.30 -16. A Viù come a Lemie si tiene apparecchiata la tavola da mezzogiorno alle 16, per aspettare tutti… Alla pastorale dei residenti occorre integrare quella per i villeggianti e gli ospiti della domenica, e non sempre gli «incroci» riescono: quelli che vivono in pianura sono interessati soprattutto alle tradizioni, alle loro cappelle e alle feste patronali, cioè alla religiosità antica che hanno lasciato qui. Ma non hanno motivo di seguire più di tanto la pastorale «dei residenti», che deve invece occuparsi della realtà viva della Chiesa e non solo delle memorie e delle vecchie feste.
Marco BONATTI
Testo tratto da «La Voce del Popolo» del 6 maggio 2012
 
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