Firenze 2015, Mons. Nosiglia: «Idee alternative per nuovi stili nell’annuncio»

Ampia intervista all''Arcivescovo in vista del V Convegno ecclesiale nazionale in programma dal 9 a 13 novembre

Pubblichiamo di seguito, per gentile concessione dell’editore, il testo dell’intervista a cura di Marco Bonatti all’Arcivescovo di Torino sul V Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, di cui mons. Nosiglia è presidente del Comitato preparatorio (in allegato la pagina del quotidiano in formato .pdf) 
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Nosiglia: «Idee alternative per nuovi stili nell’annuncio»
Il nuovo umanesimo? «Una proposta alternativa allo stile di vita comune ». Lo spiega in questo colloquio l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, presidente del Comitato preparatorio del quinto Convegno ecclesiale nazionale che si svolgerà a Firenze dal 9 al 13 novembre e che, secondo gli obiettivi, prevede modalità di partecipazioni completamente nuove. Il Convegno di Firenze sta mobilitando le diocesi, che in questo periodo danno vita a varie iniziative di riflessione.

Come valuta questa fase di avvicinamento al convegno?
Il cammino verso Firenze deve diventare “cultura” nel senso più ampio e autentico del termine: cioè parola che si fa dialogo, scambio, confronto ad ogni livello. E nel fare cultura c’è già lo stile e il senso del cammino stesso, l’”umanesimo all’opera”. A me pare, guardando al lavoro prodotto in questi mesi, che l’annuncio di Gesù Cristo non risulta come appiccicato alle opere educative o della carità, ma diviene fonte prima di una proposta alternativa allo stile di vita comune, aperta a quel “di più” che solo il Figlio di Dio e dell’Uomo può assicurare.

La “base” delle parrocchie sembra ancora poco coinvolta nel clima del Convegno. Come incoraggiare la partecipazione?
Nella Traccia c’è una parola, “coralità”, che esprime bene questa intenzione. Non vuole dire solo stimolare la partecipazione del popolo di Dio quale soggetto principe e indispensabile di tutta l’azione di annuncio e di carità della Chiesa e nemmeno, anche, solo collaborare e mettersi in gioco in qualche servizio specifico nella comunità. Bisogna passare attraverso la vita quotidiana, la pastorale ordinaria dove l’annuncio si fa esperienza di relazioni, di accoglienza, di condivisione, di speranza. Dobbiamo però anche considerare che ci sono modalità di partecipazione completamente nuove, attraverso Internet e il sito del Convegno (che sta riscuotendo molta attenzione e successo). C’è una partecipazione diffusa e “puntiforme” che non somiglia più a quella della “base” tradizionale, che aggrega persone, comunità anche fuori dai confini tradizionali delle parrocchie, delle comunità religiose, dei movimenti.

Ostensione della Sindone, Sinodo sulla famiglia, Incontro mondiale di Philadelphia, infine l’apertura dell’Anno Santo straordinario: il Convegno di Firenze di inserisce in un’agenda ecclesiale molto intensa…
È vero che ci sono molti appuntamenti importantissimi in calendario; ma è anche vero che si tratta di occasioni, contesti, sollecitazioni diverse tra di loro per tempo, luogo, caratteristiche dei protagonisti. La continuità e il collegamento vengono non solo dal richiamo mediatico ma da un contesto culturale di “Chiesa viva”, che cerca – perché ne ha bisogno – di essere presente nell’agorà dei temi che coinvolgono l’esistenza concreta delle persone, delle famiglie, della società e soprattutto dei poveri e ultimi. Il primo contributo al “nuovo umanesimo” mi pare sia proprio in questi termini: offrire la testimonianza della fede e della speranza attraverso quei linguaggi e quei canali che le persone e le comunità, cristiane e non cristiane, frequentano.

In che modo il tema del Convegno di Firenze può dare l’impulso all’attività pastorale delle parrocchie?
La “rete” è la prospettiva più evidente: mettere a confronto, nel sito del Convegno come nei dibattiti sociali, le esperienze di Chiesa significa offrire uno scenario di stimoli forti, illuminare su idee e percorsi che, sperimentati in un certo luogo del Paese, possono “trapiantarsi” in altri. Il messaggio che deve passare è che le parrocchie – ma anche le associazioni e i movimenti! – non sono “isole di Chiesa”: la Chiesa è una, ed è capace di esprimersi, di diventare viva in modi articolati e, voglio dirlo, “suggestivi”. Dove, cioè, l’esempio dei fratelli è conoscenza nuova, arricchimento di esperienza. Certo, per fare questo bisogna vincere le stanchezze e non fermarsi alle abitudini. Vale per le opere di carità, per l’azione culturale, ma forse ancor più per la liturgia e l’annuncio. Non si tratta dell’innovazione fine a se stessa, ma della forza di vivere nell’attualità, nella pienezza dei tempi. Una volta si diceva, iniziando la Messa: “A Dio, che allieta la mia giovinezza”… e in chiesa c’erano tutti, non solo gli anagraficamente giovani.

Un fatto che colpisce è la quantità di iniziative dedicate ai giovani che le diocesi hanno presentato come contributo al “nuovo umanesimo”. Come interpreta questa scelta? Perché non può essere diversamente. Oggi i “segni dei tempi” ci indicano un vuoto generazionale, in Occidente e non solo, che non riguarda i numeri dei giovani partecipanti alle attività ecclesiali ma ad ogni tipo di relazione sociale e civile. Rischiamo, forse per la prima volta nella storia, di costruire destini separati; e invece le differenze tra fasce d’età non possono diventare differenze di condizioni economiche, di apprendimento culturale, di opportunità di vita… Investire sui giovani, averli come priorità è la via di cui disponiamo per provare a ricomporre un problema che è ben lontano dall’essere solo sociologico.

Cosa sta insegnando Papa Francesco alla Chiesa italiana in cammino verso Firenze?
Papa Francesco ha suscitato emozioni non superficiali, risvegliando un’attenzione che non riguarda solo la dimensione religiosa della vita. Ha richiamato con il suo Magistero, il suo stile di vita e la sua testimonianza, ogni persona a riflettere su se stessa e sul senso dell’esistenza; e questo “messaggio” è passato tanto fra i praticanti che nel più vasto ambiente dei cosiddetti “lontani”. È una realtà di cui il cammino verso Firenze ha tenuto conto fin dall’inizio. La “Traccia” di preparazione al Convegno presenta il tema del nuovo umanesimo in Gesù Cristo non solo come fattore di crescita nella fede e nella testimonianza cristiana nel mondo di oggi, ma anche come punto di convergenza attorno a cui si può unificare l’azione pastorale, lo stile dell’annuncio proprio oggi della Chiesa, la riforma che papa Francesco indica come via concreta per rinnovare il volto della comunità a partire da un equilibrato discernimento sorretto dallo Spirito e guidato dalla volontà di conversione al Vangelo. Le cinque vie che la “Traccia” assume dalla Evangelii gaudium  indicano i contenuti e il metodo di un’azione pastorale nuova e feconda per innestare la carica missionaria nelle nostre parrocchie come in ogni realtà ecclesiale.

Cosa dice alla società italiana di oggi il tema scelto per Firenze?
Che la Chiesa italiana, di cui Papa Francesco vescovo di Roma è il primate, non si sottrae ad alcuna delle proprie responsabilità, ad una presenza qualificata nella società e a un confronto serio e rispettoso con le istituzioni e le culture, perché il “nuovo umanesimo” si costruisce insieme, non attraverso modelli reciprocamente alternativi. Ma proprio il “partire dal basso”, lo stile della rete, le occasioni di dialogo prima e durante il Convegno sono qualcosa di più di una scelta di immagine. Se vogliamo sintetizzare in una sola frase, potrebbe essere questa: la Chiesa italiana intende camminare, con ancor maggiore speranza ed entusiasmo, lungo la strada della testimonianza. E la “testimonianza” da dare non può essere che una, quella della carità, materiale come spirituale e intellettuale.

Intervista a cura di Marco Bonatti tratta da «Avvenire» di sabato 28 marzo 2015
 

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