Mons. Nosiglia: onesta’, giustizia sociale, equita’ e solidarieta’ sono le chiavi per ripartire

Intervento dell'arcivescovo di Torino all'assemblea annuale dell'ANCI a Torino il 29 ottobre 2015

«Gentili Signore e Signori Sindaci e amministratori, vi saluto e vi ringrazio dell’invito a partecipare alla vostra assemblea per esprimere alcune considerazioni circa l’indagine campionaria sull’opinione pubblica italiana, “L’Italia che vuole essere migliore”.

Desidero sottolineare due punti che mi hanno particolarmente interessato. Quando si parla del come uscire dalla crisi c’è una domanda relativa a ciò di cui ha bisogno il Paese per ripartire.

Le risposte sono molto chiare e precise: il 51 per cento richiama l’onestà. Il 33 per cento la giustizia sociale, il 27 per cento l’equità. Si tratta di valori etici radicati nel cuore delle gente, valori umani, religiosi e civili insieme che contrastano quel diffuso costume di corruzione che sembra un atteggiamento e comportamento normale e scontato nei rapporti economici, commerciali e politici di tanti, e che incoraggia di fatto le collusioni mafiose, tangenti e truffe. C’è poi la preoccupazione che deriva dalle ingiustizie sociali e da quella iniquità che genera violenza. Valori e controvalori di questo genere coinvolgono tante persone e comunità e anche l’amministrazione della cosa pubblica ne soffre. Anzi, direi che il primo compito che attiene a chi regge organismi dello Stato, sia a livello comunale che regionale e nazionale, è quello non solo di promuovere questi valori e combattere ogni deviazione in merito, ma anche di testimoniarli nella propria vita con trasparenza e verità.

 

L’altro punto riguarda l’alta considerazione che la gente ha per il proprio Sindaco (e ancora più alta è quella nei piccoli Comuni) rispetto a tante altre figure istituzionali sia locali che nazionali.

Questo pone in risalto un altro valore importante: quello delle relazioni più vicine e personali tra chi svolge un servizio pubblico di governo e il semplice cittadino. E il Sindaco è indubbiamente la persona meglio conosciuta, apprezzata e benvoluta quando si immerge nel tessuto quotidiano delle persone e famiglie e sostiene e aiuta nelle concrete loro necessità ed esigenze.

 

Le risposte su questi due punti fanno anche capire che l’attuale crisi non ha cause e spiegazioni solamente economiche: i cittadini hanno ben compreso che le radici profonde del malessere si trovano nel venir meno, nella coscienza e nei comportamenti, della fedeltà a quei valori che la Costituzione richiama, e che vanno attuati nei principi fondamentali del bene comune e della sussidiarietà.

 

È venuto oggi il momento della Politica intesa nel senso più alto e complessivo del termine, quella politica che è la forma più alta del servizio e della giustizia, rendendo effettiva l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge come di fronte al fisco. Una politica che parta dai bisogni concreti di chi fa più fatica e non diffonda a pioggia prebende più o meno dovute solo per questione di consenso. Una politica i cui protagonisti mostrino loro per primi di rinunciare ad ogni privilegio, siano sobri ed equi nel compenso del loro lavoro e trasparenti di fronte ai cittadini, pronti a rendere sempre ragione del loro operare a servizio del bene comune.

 

C’è bisogno di scelte e strategie, in campo amministrativo e istituzionale, che si impegnino a contrastare quella che papa Francesco chiama «la cultura dello scarto»: una cultura, cioè, che mortifica, discrimina o lascia ai margini della vita comune certe categorie di cittadini, per considerarle solo come oggetto di cura e di assistenza – e dunque un peso, più che una risorsa in grado di contribuire al progresso della società. Combattere la cultura dello scarto significa compiere scelte molto concrete. Qualche esempio:

salvaguardare e promuovere condizioni di lavoro degne dell’uomo e soprattutto della donna, sobrietà nell’uso dei beni, gratuità e fraternità come valori che cementano la cittadinanza, salvaguardia del tempo da dedicare alla propria famiglia e al volontariato valorizzando in particolare la Domenica giorno del Signore per i credenti e giorno di libertà e fraternità per ogni cittadino che deve ricuperare le forze anche fisiche e interiori a contatto con la natura e nelle relazioni familiari e amicali.

 

Invece oggi la cultura dello scarto «allontana» dalla vita sociale 1 milione 400 mila cittadini: sono i poveri assoluti ma anche tanti minori, anziani, senza dimora, rom, precari e disoccupati o in cerca di lavoro soprattutto giovani, chi perde la casa a causa dello sfratto incolpevole, disabili e malati terminali.

 

Urgente è anche il problema dei rifugiati che arrivano nel nostro Paese e nei Paesi europei per sfuggire alle violenze e alle Il Papa ha invitato ogni parrocchia ad accogliere una famiglia o gruppo di rifugiati e lui stesso ha dato l’esempio. Conosco diversi Comuni che si stanno prodigando per lo stesso scopo e hanno attivato una rete con le rispettive parrocchie e sinergie appropriate per dare una risposta a questa emergenza come a tutte le altre del territorio. Credo che se queste due realtà di base popolare e capillare sul territorio, quali sono appunto il Comune e la parrocchia, insieme alle tante associazioni e al terzo settore che caratterizza molti se non tutti i Comuni del nostro Paese, uniscono programmi, personale e risorse facendo squadra, si potrà certamente far fronte agevolmente e senza troppo sforzo a questi impegni diffondendo così’ anche una cultura alternativa di solidarietà, fondamentale per dare slancio e vigore alla ripresa etica ed economica del Paese.

 

Certo non basta l’accoglienza, ma occorre una continuità poi di impegno per accompagnare le persone e famiglie nei percorsi di inclusione sociale che riguardano beni essenziali come il lavoro prima di tutto, la casa e l’educazione dei figli, il sostegno agli anziani e malati e la stessa custodia dell’ambiente in cui ogni singolo e comunità vivono. Tenendo sempre presente che tutto deve ruotare attorno alla persona soggetto di diritti inderogabili e universali. Il Papa nella “Laudato sì” afferma che curare la casa di tutti quale è la terra significa non limitarsi alla pure necessaria salvaguardia della natura e al rispetto di ogni creatura, ma esige quella ecologia umana che è la prima a dover essere perseguita con la massima responsabilità da parte di tutti. Per cui la centralità di ogni persona è decisiva per ogni tipo di azione politica, economica e culturale, perché qualunque di queste dimensioni si risolvesse in atti contrari alla dignità umana non sarebbe ecologica, ma opposta alla natura dell’uomo e del creato:un antropologismo deviato dà luogo a uno stile di vita deviato.

 

Desidero inoltre dire una parola specifica sui giovani che sono il nostro futuro e meritano dunque una attenzione particolare e continua.

 

Anzitutto credo che l’investimento più prezioso oggi per le istituzioni in un comune sforzo con la scuola ma anche con le imprese e il mondo del lavoro profit e dello stesso welfare sia quello della formazione quale orizzonte della cittadinanza. Come sostiene l’economista Piketty “il processo di diffusione delle conoscenze e delle competenze è il meccanismo centrale che rende possibile sia la crescita globale che la riduzione delle diseguaglianze”. Il PIL di un Paese cresce nella misura dei finanziamenti e risorse destinate alla cultura e alla formazione e conseguente ricerca  e innovazione. Una scuola e università che puntino alla promozione integrale della persona, al suo sapere e saper fare ma anche al suo saper essere.

Sarebbe controproducente se formassimo dei buoni professionisti ma privi di coscienza etica personale e comunitaria, onesti cittadini che si sentono responsabili del bene comune.

 

E qui si innesta uno dei problemi più seri oggi del nostro Paese: la separatezza tra giovani e adulti e il crescente gap tra le generazioni. Il Papa a Torino ha detto con chiarezza che è necessario promuovere un patto educativo e sociale tra le generazioni. I giovani giudicano infatti il mondo adulto chiuso a riccio nei suoi privilegi e incapace di ascoltarli e prendere sul serio le loro concrete necessità e possibilità, rendendoli protagonisti sia nell’ambito del lavoro come della politica nelle cui cabine di regia non c’è posto per loro. Il rischio è dunque quello che anche tra i più giovani non ci sia più la fiducia necessaria nel cambiamento: tanti di loro non studiano più e nemmeno cercano un lavoro. Vivono come in una apnea di incertezza mai sperimentata nelle generazioni precedenti. Ascoltarli e fare insieme un cammino per la scelta degli studi e l’orientamento al lavoro, dare vita a uno stretto raccordo tra scuola e lavoro, rappresentano la sfida che il mondo adulto, gli educatori, politici e amministratori ma anche  le imprese devono insieme assumersi. È nell’affrontare nel concreto questa sfida che ci giochiamo la credibilità verso i giovani e nello stesso tempo poniamo le basi per contrastare quel disimpegno che lamentiamo verso di loro quando vediamo crescere con preoccupazione le loro varie dipendenze, dall’alcol, al gioco di azzardo, al bullismo, allo sballo. Inoltre va detto che il nostro Paese non può permettersi il lusso di investire tanti anni nella formazione dei giovani per vederli poi emigrare all’estero o restare a carico dei genitori e nonni un tempo lungo e privo di sbocchi professionali adeguati alle loro capacità e competenze. Il lavoro non è solo necessario per l’economia ma per la persona e la sua dignità, per la sua cittadinanza e per l’inclusione sociale, per formarsi una famiglia e avere un futuro sereno e produttivo di valore per tutta la società.

 

Credo infine che di fronte a tanti problemi che voi come amministratori dovete ogni giorno affrontare può subentrare la sfiducia per l’impossibilità di farvi fronte, anche a causa delle sempre più scarse risorse su cui contare, ma guai se perdiamo la speranza che le cose possano e debbano cambiare. Certo nessuno potrà mai farcela da solo (sul piano politico, culturale, burocratico, del welfare e dei servizi) perché nessuno può bastare a se stesso, per cui è sempre più necessario imparare a fare rete sia all’interno del proprio paese o città, tra tutte le componenti sociali, e anche religiose e sia sul più vasto territorio che vi vede agire insieme come unione dei Comuni o città metropolitana. Rete significa imparare e coordinare gli interventi, valorizzare le innovazioni con un uso intelligente delle tecnologie di comunicazione, qualificare il personale e ottimizzarlo a partire da alcuni ambiti strategici su cui la rete può risultare produttiva e vincente, facilitare un rapporto di fiducia e collaborazione con l’amministrazione da parte delle famiglie e delle persone, meno burocratico e a tempi lunghi ma più relazionale e che dia risposte in tempi certi. L’assistenza poi non è sufficiente, ci vuole promozione, prossimità e concretezza nelle risposte che rigeneri speranza e intraprendenza nella gente e nel futuro.

 

Da parte delle nostre parrocchie vi assicuro tutta la collaborazione necessaria perché quanto richiesto dai cittadini (onestà, giustizia sociale, equità e solidarietà) diventi il volano per affrontare insieme e superare l’attuale crisi, mediante impegni e vie di comune incontro e convergenza. La parrocchia infatti non è una delle tante agenzie sociali o associazioni che offrono pure il loro apporto per servizi e sostegni vari, ma è una comunità fortemente radicata nel tessuto vitale del territorio che si avvale di un supporto di tradizione viva e vivace, grazie a tanti volontari e realtà connesse che operano per il bene di tutti, giovani e anziani, bambini e adulti, famiglie e singole persone, malati e poveri di ogni genere in particolare. Per cui rispettando i ruoli e compiti distinti Comune e Parrocchia, possono e debbono collaborare egregiamente per il progresso umano, civile ed etico della popolazione.

 

Concludo con un augurio semplice ma non scontato: che possiate proseguire lungo la strada impegnativa per cui siete stati eletti, senza perdere di vista quel «bene comune» che è davvero il nostro patrimonio più prezioso di cittadini. Sant’Agostino, nei «Soliloqui», lo esprime così: «Che tu, Signore, mi permetta, anche mentre governo di essere onesto forte, giusto, prudente, amante perfetto e partecipe della tua sapienza, degno della cittadinanza e cittadino del tuo regno di ogni felicità».

 

Grazie e buon lavoro.

 

Mons. Cesare Nosiglia

Arcivescovo di Torino»
(Il testo è disponibile in formato pdf nella sez. Documenti del sito)
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