Tra campagna e città

Lavoro nei campi, pendolarismo nelle aziende del territorio, popolazione anziana numerosa, una scuola (a Lombriasco) punto di riferimento per i giovani

«Siamo in campagna, ma non è più campagna». I preti dell’Unità pastorale 48 fotografano così la realtà del loro territorio, la grande porzione di pianura solcata dal Po che congiunge le Alpi con le porte di Torino. Un comprensorio vicino a tutti i centri, ma che non ha un «centro» proprio. Saluzzo e Pinerolo, Carmagnola e Torino sono i riferimenti naturali e obbligati per la burocrazia, le scuole, il tempo libero, il lavoro: perché qui, appunto, c’è solo la campagna. Le terre della sponda sinistra sono il «serbatoio», la base produttiva di un’industria agroalimentare che trasforma e commercializza latte e latticini, carne pregiata. Ma le fabbriche sono altrove, verso Cuneo o nel resto d’Italia. E i grandi profitti, il reinvestimento dei guadagni stanno con l’industria, più che con le produzioni di base. Altrove stanno anche, naturalmente, i posti di lavoro, gli istituti di formazione specializzata. Qui è rimasta l’industria della menta e delle erbe officinali, che ha conosciuto nel passato recente un grande sviluppo e che oggi risente un poco della crisi anche a causa della forte concorrenza straniera. Delle imprese che erano qui diverse hanno chiuso o si sono trasferite; rimane abbastanza costante, invece, il ruolo dell’edilizia residenziale (case nuove, ristrutturazioni).
 
Le erbe e il granoturco sono il segno dominante del territorio, un po’ in tutti i Comuni dell’Unità pastorale – con l’eccezione di Carignano, che fa storia a sé anche perché dispone di una storia sua propria, diversa e più «cittadina» degli altri centri (non foss’altro perché è la culla dell’ultimo ramo di Casa Savoia, quello che, da Carlo Aberto in poi, ha regnato sugli Stati di Sardegna e poi sull’Italia, fino alla fine della dinastia).
 
La terra è ancora il centro del lavoro e della vita sociale ma i numeri sono ormai completamente diversi dal passato. Non ci sono più le famiglie patriarcali di contadini, nelle cascine che prima ospitavano centinaia di persone vivono ora uno o due nuclei familiari; nei registri parrocchiali di Osasio risultavano presenti in una cascina, nel 1749, 23 «anime»; ora sulla stessa terra sono in due; per allevare 700 tori, in un altro stabilimento, ci sono 3 persone. Le grandi cascine sono rimaste pochissime. La stessa terra, grazie alle macchine, viene lavorata in famiglia, senza dipendenti, senza braccianti né stagionali (anche perché altrimenti i guadagni se ne andrebbero tutti in stipendi…). È finito anche qui il modello classico della campagna «autosufficiente», con i campi, l’allevamento di bestiame grosso, il pollaio, il porcile, la frutta, il bosco.
 
I paesi più vicini e meglio collegati a Torino (Piobesi, Castagnole) si sono «avvicinati» al modello della cintura: sono arrivate le famiglie di pendolari, nelle villette a schiera, ma non ancora l’integrazione fra vecchi e nuovi residenti. Rimangono diverse le abitudini e le culture, mentre sono in aumento le famiglie composte di una sola persona. In tutta l’Unità pastorale non ci sono aree di povertà diffusa, anche se non mancano (e anzi sono in crescita) i casi di persone e famiglie in difficoltà. La Caritas è operante a Carignano e a Piobesi, negli altri centri interviene la San Vincenzo o altre organizzazioni parrocchiali. La casa canonica di Castagnole, ora disabitata, potrebbe diventare il centro di un progetto di accoglienza, magari da elaborare e realizzare insieme tra comunità cristiana ed enti locali.
 
I centri più interni e agricoli (Casalgrasso, Pancalieri) gravitano su Saluzzo. Le scuole salesiane di Lombriasco sono il punto di riferimento comune per l’intera area e i salesiani sono preziosi collaboratori per le opere parrocchiali in tutto il territorio. E anche l’oratorio è un centro importante di aggregazione. Carignano mantiene una propria identità «cittadina», con caratteristiche e iniziative, anche culturali, rilevanti. Carignano da sola raccoglie quasi la metà degli abitanti dell’intera Unità pastorale (8500 su 19 mila) e ha una lunga tradizione di presenze religiose oltre a quelle della parrocchia (se ne parla nei servizi di queste pagine). C’è anche una maggiore mobilità sociale, un maggior numero di famiglie giovani. In tutti i Comuni, tuttavia, i rapporti fra le comunità cristiane e le istituzioni civili sono ottimi, improntati sulla collaborazione e la cordialità.
 
La scomparsa del lavoro contadino ha significato anche il concentrarsi, nei paesi, di una popolazione sempre più anziana: ogni Comune dell’Unità pastorale ha almeno una casa di riposo (a Pancalieri c’è anche la Casa diocesana per il clero «Boccardo»); indiani ed europei dell’Est hanno trovato anche qui lavoro come badanti, costituendo piccoli nuclei etnici che vanno integrandosi con la popolazione locale, senza particolari problemi. Complessivamente le case per anziani nel territorio sono 8. E le scuole solo 3: questa è forse la sintesi più efficace per comprendere il territorio.
 
Negli ultimi anni non sono cambiate solo le condizioni economiche e sociali ma anche la situazione religiosa. L’«onda lunga» della secolarizzazione è arrivata anche qui, riducendo la partecipazione all’impegno ecclesiale e la partecipazione alle celebrazioni domenicali (la frequenza alle Messe rimane comunque più alta che nei quartieri torinesi, sopra il 10%, ma la tendenza è simile). I problemi pastorali sono analoghi a quelli delle aree metropolitane: se «tutti» i bambini frequentano il catechismo fino alla Cresima, diventa poi più difficile trovare occasioni di coinvolgimento degli adolescenti e dei giovani, anche se le parrocchie continuano a rimanere, nei paesi, un punto di riferimento e di aggregazione per tutte le età. L’Estate ragazzi, organizzata dalle parrocchie in collaborazione con i vari Comuni, rimane un momento qualificante, anche se poi non sempre chi frequenta le attività estive torna in oratorio o nelle attività parrocchiali.
 
Ciò che si mantiene, fra gli anziani e non solo, è la religiosità tradizionale delle feste patronali nelle borgate e intorno alle cappelle e ai piloni di campagna, o i pellegrinaggi nei grandi santuari (come a Lourdes). Una religiosità che si incrocia bene con la «voglia di partecipare» ai momenti di festa, alla vita associativa, al volontariato: dentro e fuori dalle parrocchie abbondano le associazioni, le corali, i gruppi turistici, sportivi, ricreativi. Ma anche i gruppi di servizio ai malati, quelli di accompagnamento nei pellegrinaggi… Il Carnevale, giusto in questi giorni, è sempre un grande momento di aggregazione e di festa: preparare i carri, andare a sfilare negli altri paesi rimane una tradizione importante. E anche il segno di un territorio «vivibile», senza grossi squilibri fra le condizioni di vita.
 
L’Unità pastorale ha iniziato il proprio lavoro con gli incontri regolari dei preti – ogni 15 giorni a pregare e mangiare insieme a Pancalieri, allo stesso tavolo degli altri preti ospiti della Casa Boccardo. Anche l’Equipe dell’Unità pastorale sta avviando il suo lavoro di coordinamento delle comunità. Sono state avviate attività comuni per la preparazione al matrimonio e la formazione dei catechisti. In diverse comunità ha preso piede l’esperienza della catechesi biblico-simbolica, che spesso si affianca a quella svolta con la modalità tradizionale.
Marco BONATTI
Testo tratto da «La Voce del Popolo» del 26 febbraio 2012
 
 
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