Il deserto delle fabbriche

Torino nord è tra le aree della città ad aver pagato il prezzo più alto della crisi. Il 2012 si candida senza retorica al triste titolo di annus horribilis nei quartieri Falchera e Rebaudengo. Basta percorrere le strade della Sesta circoscrizione dove i parcheggi davanti ai supermercati sono mezzi vuoti e quelli di interscambio praticamente inutilizzati, la stazione Stura è un cantiere eterno, gli orti urbani trasformati in dormitori di fortuna e i cartelli di affitto o vendita di alloggi e attività commerciali crescono come la polvere che con il passare del tempo li rende quasi illeggibili.
 
La deindustrializzazione ha fatto il resto. Fino agli anni Cinquanta, il borgo era prevalentemente agricolo. In molti torinesi del quartiere è ancora vivo il ricordo della cascina dei fratelli Falchero in strada Cuorgnè dove oggi c’è un centro di educazione ambientale. Poi a partire dagli anni Sessanta la popolazione è aumentata grazie al riassetto urbanistico legato alle case popolari, ma oggi la principale zona di passaggio tra Torino e il Canavese si è trasformata in un «cimitero» delle attività produttive. Sebbene non sia facile dare un nome a tutte le piccole e medie imprese che hanno chiuso per fallimento o per i costi diventati insostenibili, alcuni esempi sono utili a comprendere cosa accade oggi in quest’area.
 
Dopo la chiusura o il netto ridimensionamento delle principali attività che insistevano su corso Romania (Michelin e Skf ) molti lavoratori si sono trasferiti e hanno smesso di frequentare i locali e i negozi della zona. Così anche molte piccole serrande si sono abbassate. Questo Natale i commercianti si sono dovuti autotassare e chiedere aiuto ai clienti per poter accendere le tradizionali luci per le vie principali. A questo si sono aggiunti di recente i problemi dei lavoratori Auchan, al centro dei ridimensionamenti o delle domeniche lavorative che non lasciano spazio alla vita familiare. Non ultimi sono i siti della cintura e verso il canavese dove interi settori stanno scomparendo. Quello edile e il suo indotto, in primis.
 
Da un recente studio di Feneal Uil sulle imprese chiuse o in crisi tra il 2008 e il 2013 risultano: l’impresa Arlotto (37 dipendenti) di via Reiss Romoli fallita, la Panero spa dove 24 lavoratori sono in cassa integrazione in deroga per crisi, l’Industria Costruzioni di Volpiano ha dichiarato la cassa straordinaria per crisi per oltre 100 dipendenti, la Foresto e la Rocca Alfio di Leinì hanno chiuso i battenti lasciando a casa rispettivamente 39 e 91 lavoratori. Ovviamente anche nell’indotto (legni e laterizi) la lista a nord del capoluogo piemontese è lunga: Indotto: Rieter Autoneum di Leinì (53 dipendenti in cassa integrazione straordinaria, Top Plastics Radicar di Leini (48 in Cigs nel 2012 per crisi), Audasso Antonino settore legno di Borgaro Torinese (64 dipendenti in mobilità per fallimento il 30 settembre 2011), e la Rilox di Mappano (chiusa nel 2012 con la messa in mobilità di 17 lavoratori).
 
 
Nonostante la crisi, non mancano i centri di aggregazione e alcuni servizi alla persona. Oltre alla incisiva presenza delle parrocchie, di recente a Falchera ha riaperto il centro giovanile «El Barrio» con locali rinnovati in cui si organizzano serate e spettacoli musicali e artistici. In corso Vercelli 141 presso il centro Donna, ogni mercoledì pomeriggio c’è uno sportello psicologico gratuito (su prenotazione ai numeri 011.4435636-69-56). Piccoli grandi segni di speranza.
Emanuele FRANZOSO
Testo tratto da «La Voce del Popolo» del 22 settembre 2013
 
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