Il fonte è un luogo

Ad ogni chiesa parrocchiale il suo fonte. Con questo auspicio, ancora lontano dall’essere realizzato, abbiamo raccontato, sulle pagine della Voce del Popolo, la storia dei fonti più significativi della nostra diocesi. Si tratta di manufatti antichi e singolari, o di oggetti diffusi e quotidiani, per arrivare fino alle realizzazioni contemporanee.
 
Quali conclusioni trarre dalla rassegna storica, e soprattutto dalla recensione dei casi più recenti? Anzitutto che il fonte è un luogo, prima e più che essere un oggetto. Anche quando si guarda il fonte come un oggetto, esso non è mai neutro, e rimanda a un’attenzione, a una precisa funzione, a una comprensione non solo del sacramento, ma anche della comunità che lo celebra. Affermare che il fonte è un «luogo», non necessariamente implica l’esistenza di un edificio dedicato, un vero e proprio «battistero», ma sottolinea la forte «identità» di ogni realizzazione, di ogni scelta, oltre alla capacità di ogni fonte di trasformare lo spazio che lo circonda in luogo riconoscibile.
 
Ora, per rendere ogni luogo significativo, il fonte non può essere schiacciato o ignorato, ingombrato o ingombrante, appoggiato casualmente in qualche parte della chiesa e trasportato all’occorrenza. Anche là dove la posizione dell’antico fonte non consente la celebrazione dei battesimi – o almeno non la consente nella forma del battesimo comunitario di molti bambini – si tratta di custodire il senso di un luogo «memoriale», non trasformando lo spazio battesimale in un ripostiglio, né ingombrandolo di cartelloni, magari con l’intento di far vedere che ci teniamo al battesimo. Se desideriamo che la Chiesa sia nemica del brutto, il primo passo da compiere è riconoscere il brutto o lo sciatto che spesso disseminiamo attorno ai nostri luoghi liturgici, con l’intento di renderli più «parlanti». Ora, guardando alla storia e all’attualità, il segno del fonte è talmente consolidato ed eloquente da aver bisogno di ben pochi commenti o «decorazioni» posticce.
 
Guardando a tanti fonti del passato inutilizzati, viene da chiedersi per quale motivo ritrovando il rito del Battesimo (dopo secoli di una ritualità povera e frettolosa) abbiamo smarrito il fonte. La spiegazione è proprio nel fatto che la celebrazione comunitaria rende difficile l’impiego di spazi per lo più ridotti e soffocati in un angolino. La domanda che ci si può fare è se non siamo troppo pigri nel celebrare un rito che presenta tappe e movimenti differenti, organizzati intorno a diversi poli (la soglia, l’ambone, il fonte, l’altare). Più radicalmente, in questione è il valore simbolico di uno spazio liturgico, contro una visione semplicemente funzionale della celebrazione: è lo spazio del fonte che deve adattarsi alle diverse situazioni (perché si possa celebrare con tanti o con pochi, nella veglia pasquale o alla domenica, durante la messa, o in una celebrazione a parte…), oppure sono le diverse situazioni che si devono adeguare ad uno spazio dato, che funziona come un «polo» di attrazione dello sguardo e del gesto comunitario?
 
La risposta a questo interrogativo chiede di pensare a uno spazio che sia insieme simbolico, cioè eloquente anche al di là della celebrazione, e funzionale, sapendo che ogni scelta comporta vantaggi e svantaggi, e non esiste la soluzione perfetta che risponde in modo adeguato ad ogni tipo di situazione.
 
Da questa consapevolezza emerge l’importanza di uno studio attento, dal punto di vista storico, architettonico, artistico, liturgico: cosa che non si improvvisa, e che ha bisogno di collaborazioni e di competenze diverse.
Un primo passo che può essere utile è quello di collaborare alla compilazione di un censimento dei fonti presenti nelle chiese parrocchiali della nostra Diocesi. Non si tratta di un arido lavoro compilatorio di tipo storico-artistico, ma di un’indagine conoscitiva sull’uso dei fonti, e soprattutto sui valori che riconosciamo quotidianamente ai fonti. Un semplice questionario, disponibile sul sito dell’Ufficio liturgico (www.www.diocesi.torino.it/liturgia), invita a verificare la presenza del fonte nella propria chiesa parrocchiale, il suo effettivo utilizzo, la sua valorizzazione dal punto di vista liturgico e catechetico. A partire da questi dati, da inviare via mail all’Ufficio possibilmente entro la fine di luglio, e dalle riflessioni svolte nell’arco di quest’anno pastorale, si cercherà di offrire alcuni orientamenti per il lavoro delle comunità, con l’obiettivo di ridare ad ogni chiesa parrocchiale il suo fonte, come luogo sorgivo della fede personale e comunitaria.
don Paolo TOMATIS
Andrea LONGHI
Testo tratto da «La Voce del Popolo» del 28 luglio 2013
 
 
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