La nostra sfida alla povertà

«Da un anno e mezzo circa, 40 famiglie in discrete condizioni economiche donano 15-20 euro alle famiglie più povere della parrocchia. Si tratta del progetto ‘Adotta una famiglia’, nato per stimolare la carità sociale in una delle zone della nostra città più colpite dalla povertà». Così don Benito Luparia, parroco del SS. Nome di Gesù, parla dell’iniziativa avviata nella sua comunità per alleviare le conseguenze della crisi economica. Da Porta Palazzo alla zona lambita dai due fiumi Dora e Stura, infatti, un quarto abbondante della popolazione parrocchiale vive in condizione di povertà.
 
In modo particolare, la parrocchia SS. Nome di Gesù raggiunge percentuali comprese tra il 25 e il 30% dell’intero territorio, concentrata soprattutto nelle aree intorno a Porta Palazzo: le due componenti («ricca» e «povera») sono quasi nettamente divise da corso San Maurizio, zona in cui, fino alla parrocchia di Santa Giulia, il tenore di vita è più alto, per abbassarsi poi drasticamente con l’avvicinarsi della zona di Porta Palazzo fino al Lungo Dora. Situazione analoga nelle due parrocchie di don Alberto Calzoni: a San Giacomo in Barca ci sono 80 famiglie in condizione di disagio, mentre la più piccola San Grato in Bertolla ne lamenta almeno una decina.
Se questa panoramica è ormai consueta per queste aree della diocesi, è nel contempo difficile agire sulle cause, da lungo tempo profondamente radicate nel tessuto sociale di questa fetta di popolazione, anche perché, come denunciano entrambi i parroci, la situazione, soprattutto con la recessione degli ultimi anni, tende sempre più a peggiorare.
 
In tutte e tre le parrocchie, il tessuto sociale è molto variegato e copre famiglie di ogni età e nazionalità. Come hanno osservato entrambi i parroci, le famiglie musulmane hanno come unica fonte di reddito un lavoro il più delle volte umile, spesso in nero, insufficiente a reggere i 6 o 8 figli che in media hanno a carico; tuttavia, anche tra gli italiani non mancano i nuclei familiari che fanno fatica a giungere alla fine del mese, chi perché ha uno stipendio solo, chi per difficoltà economiche dovute a separazioni dei due coniugi o disagi familiari interni, come la morte di un componente.
 
Ultimamente, però, denunciato entrambi i parroci, persino le famiglie italiane con due stipendi e due figli a carico hanno dovuto ridurre il loro tenore di vita. Nello specifico di San Giacomo e San Grato, poi, la situazione è ulteriormente peggiorata con la chiusura delle fabbriche in zona Pescarito, la quale ha condizionato tutte le imprese della zona, fino ai bar dove si trascorreva la pausa pranzo durante la giornata lavorativa in fabbrica.
 
Altra piaga della zona: il campo rom di lungo Stura, che ha portato ad un aumento di incidenza di furti che condizionano la vita quotidiana: «non possiamo più esporre pubblicamente nemmeno la data dei funerali, senza che i ladri entrino nelle case approfittando dell’assenza degli abitanti. La polizia fa retate continue, ma non risolve la situazione, perché, quando l’emergenza cambia anche il rapporto con le cose quotidiane come la morte, il problema sta altrove ed è ben più radicato di così. Inoltre manca una adeguata cultura economica – aggiunge don Alberto Calzoni, parroco di S. Giacomo e S. Grato – perché molti, quando hanno soldi a disposizione tendono a usarli per spese superflue, come i ‘Gratta e Vinci’, sperando, molto ingenuamente, in un guadagno facile».
 
Per fronteggiare la situazione, i due parroci stanno cercando in tutti i modi di stimolare la solidarietà sociale: da «Adotta una famiglia» all’aiuto offerto dalle Caritas parrocchiali e S. Vincenzo. «In passato ho chiesto anche aiuti economici all’Arcivescovo con i fondi dell’8 per mille – prosegue don Luparia – ma la situazione, nonostante tutto, è ben lungi dal migliorare, anche perché con la crisi nemmeno le famiglie benestanti mettono mano al portafoglio».
Monica AMEDOLA
Testo tratto da «La Voce del Popolo» del 17 novembre 2013
 
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