«Siamo tutti migranti, siamo tutti persone»: saluto dei migranti al Pontefice

Lunedì 22 giugno 2015 una decina di rifugiati ha incontrato e ringraziato il Santo Padre

«Fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni in cui esseri umani vengono trattati come merci…». In piazzetta Reale, nel primo appuntamento della sua lunga domenica torinese, il 21 giugno Papa Francesco si è rivolto ai rappresentanti del mondo del lavoro e dell’imprenditoria senza dimenticare le immagini dei migranti di Ventimiglia o di quelli transitati nelle stazioni di Roma e Milano. «Trattati come merci», scandisce, in un passo aggiunto all’ultimo momento al testo preparato. «L’immigrazione aumenta la competizione», ha detto il Pontefice, «ma i migranti non vanno colpevolizzati, perché essi sono vittime dell’iniquità, di questa economia che scarta e delle guerre».

Lunedì 22 giugno una decina di rifugiati provenienti da diversi Paesi africani, tra i quali il Sudan, Il Camerun e la Costa d’Avorio, sono stati accompagnati in Arcivescovado dalla Caritas di Torino e hanno incontrato il Santo Padre. Qui di seguito il testo con cui lo hanno voluto ringraziare per l’attenzione che riserva loro costantemente.

«Caro Papa Francesco,

siamo un gruppo di persone che oggi hanno il privilegio di poterLa incontrare. Questo momento per noi è molto importante, perché sappiamo di rappresentare molte, troppe persone che oggi si trovano lontane dalle loro terre e dai loro affetti.

Tra tante parole che sentiamo e leggiamo, poche volte ci capita di trovare comprensione e umanità. Cerchiamo conforto ogni giorno negli sguardi, nei sorrisi, nelle rare attenzioni che qualcuno ci dedica.

Le sue parole sono per noi ossigeno. Al di là della fede di ognuno di noi, in Lei ritroviamo la parola del nostro Dio. Fraterna, caritatevole e inspiegabilmente umana.

Le chiediamo di continuare ad avere pensieri e parole per tutti coloro che hanno sete di giustizia qui e nel resto del Mondo.

Grazie. Di cuore.

Ahmed – sono sudanese, in Italia dal 2011, dove ho fatto domanda di asilo politico che mi hanno riconosciuto. Mi sono laureato a Khartoum in economia e ora sono iscritto al corso di laurea in Scienze statistiche a Torino. Vivo in via Roccavione, in un appartamento della Diocesi di Torino, gestito dall’Ufficio Pastorale Migranti, insieme ad altri studenti e a una famiglia Rom. Il mio desiderio più grande è che possa venire la pace in Darfour. Pace in Darfour!

Cho – ho 32 anni, sono nato a Bamenda in Camerun, e quando ero piccolo i miei genitori mi hanno portato a Douala dove sono cresciuto. Nel 2008 abbiamo manifestato contro l’aumento di prezzi e la polizia ha iniziato a sparare e arrestare. Io sono riuscito scappare. Prima in Nigeria poi in Niger dove ho incontrato degli amici e insieme siamo andati in Libia. Ho lavorato come aiuto muratore, fino alla rivolta del 2011 e l’arrivo in Italia. Oggi lavoro come falegname e sto prendendo il diploma come elettricista. Chiedo a Signore di pregare per la mia famiglia e per quelli che muoiono nel deserto e in mare.

Daniel – sono nigeriano, dal 2007 in Italia. Ho studiato lingua italiana e sono tecnico di commercio internazionale. Ho lavorato molti anni, fino a quando è arrivata la crisi che ha portato alla disoccupazione. La mia famiglia è in Africa ora. Sto ospitando a casa mia due giovani ragazzi rifugiati, Said e Keita, attraverso il progetto “Rifugio diffuso” dell’Ufficio Pastorale Migranti. Sono felice di poter dare rifugio a due giovani e bravi ragazzi come loro.

Dauda – sono ivoriano, da sei mesi in Italia. Ho lasciato il mio paese nel 2011. Sono andato in Burkina Faso e poi in Libia dove ho lavorato. Sono stato costretto a prendere il barcone e non sapevo dove ero diretto. Mi trovo ora in un centro di accoglienza. Pace nel Mondo!

Diallo – sono della Guinea Conakry, sono scappato e andato in Mali, sono passato per l’Algeria e la Libia. Sono in Italia dal 2014. Sono ancora in attesa di sapere se l’Italia mi riconosce la protezione internazionale e vivo in un centro di accoglienza. Ho 22 anni e sono molto preoccupato per il mio futuro.

Diouf – sono volontario del progetto Rifugio diffuso dell’Ufficio Pastorale Migranti della Diocesi di Torino. Sto ospitando un giovane ragazzo qui presente, Moussa. Sono artista senegalese musulmano di origine animista. Scrittore coreografo e regista di spettacoli teatrali e danze africane da trent’anni in Italia. Sono convinto che le tre religioni monoteiste abbiano tutte una stessa origine che culmina in preghiere diverse ad un unico Dio.

Hector – Sono da otto anni in Italia. Sono scappato dal mio paese, Congo Brazzaville, dove ero insegnante di matematica. Sono dovuto scappare per problemi politici, e dopo la mia dipartita, hanno ucciso mia moglie. Le mie due figlie sono rimaste con la nonna. Io non riesco a chiedere il ricongiungimento familiare poiché non sono nelle condizioni per poterle mantenere. Il mio augurio è che si possa raggiungere la pace e l’unico modo per farlo è cambiare modello di vita.

Kasem – sono egiziano, da tre anni in Italia. Nel mio paese ero assistente sociale. Ora mi trovo in carrozzina poiché nel 2014 ho avuto un grave incidente sul lavoro. Sono caduto da 14 metri e sono contento oggi di poterlo raccontare. Ho avuto la forza, grazie anche ai tanti amici vicini, di denunciare il mio datore di lavoro, che non ha neanche chiamato l’ambulanza. A settembre mi iscriverò al corso per diventare educatore. Pace su di voi!

Kone – facevo parte di un movimento studentesco in Costa d’Avorio e nel 2003 sono stato costretto a fuggire perché perseguitato. Ho vissuto e lavorato per 10 anni in Libia, ma nel 2011 con la rivolta sono stato costretto a lasciare il paese e sono arrivato in Italia. Sono il responsabile del Movimento migranti e rifugiati a Torino e sono mediatore interculturale. Vivo nella casa occupata dell’Ex Moi. Sono d’accordo quando lei, Papa Francesco, dice che la terra non appartiene a nessuno. Dobbiamo aprire le frontiere. Noi continueremo a lottare per la giustizia, ma abbiamo bisogno della sua energia per andare avanti.

Famiglia Kvernadze – Shalva è capofamiglia, rimasto vedovo durante il conflitto russo–georgiano poiché la moglie è stata uccisa durante il conflitto. Si è risposato con Manana, donna osseta, da cui ha avuto due figli. Sono dovuti fuggire perché le coppie miste russo-georgiane sono fortemente discriminate in Georgia. Entrambi sono cristiani.

Mallam – sono un ragazzo ghanese, appena uscito da un’accoglienza ed ora vivo presso una famiglia a Cervasca (Cn), grazie al progetto dell’Ufficio Pastorale Migranti “Rifugio diffuso”. Vivo da Daniela, nipote di un emigrato in Argentina in cerca di fortuna nel 1913. Daniela è da 25 anni che ha aperto le porte della sua famiglia e ora vive con suo marito ed i suoi tre figli naturali insieme a quattro ragazzi di origine africana a due bambini in affidamento e all’anziano padre. Conviviamo insieme: cattolici, musulmani e protestanti.

Mamadou – sono originario della Guine Conakré. Sono laureato in Giurisprudenza, professore di Diritto patrimoniale nel mio Paese. Ero segretario del partito politico “Giovani per il cambiamento”. Dopo che hanno ucciso mio fratello, ho rilasciato interviste a radio e tv e hanno iniziato a cercarmi. Sono fuggito. Da ottobre 2010 sono in Italia e devo ringraziare la Diocesi di Torino, Ufficio Pastorale Migranti per l’aiuto che mi ha dato e mista ancora dando. Sono mediatore interculturale, ma da tempo sono disoccupato. I profughi non sono responsabili di ciò che vivono. Ai presidenti dei Paesi sviluppati dico basta armi!

Nzita – Sono arrivato in Italia nel 1988, per una borsa di studio. Allora la situazione era diversa. Negli anni Novanta ho iniziato il mio lavoro di attivismo in Città, dopo la morte di un sudafricano. Oggi faccio parte del sindacato USB e aiuto il Movimento migranti e rifugiati.

Ousmane – arrivo dalla Guinea Conakry da dove sono scappato nel 2013. Arrivato in Libia, dopo aver attraversato il Mali e l’Algeria, e in Libia mi hanno arrestato e sono stato costretto a imbarcarmi.

Regina – sono nigeriana, in Italia dal 2011. Vivo nella casa occupata dell’Ex Moi. Vorrei che in questo mondo fosse data l’opportunità di salvezza a tutti. Siamo tutti figli di Dio!

Yahya – sono del Sudan, in Italia dal 2009. Sono laureato in lingue nel mio paese, e sto prendendo la stessa laurea qui a Torino. Sono dovuto scappare da mio paese e mi hanno riconosciuto il diritto di asilo. Pace a tutto il Mondo!

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