Visita pastorale alle Comunità etniche diocesane

Dal 28 aprile al 26 maggio 2019

Dal 28 aprile al 26 maggio 2019 il vescovo mons. Cesare Nosiglia visita le cappellanie etniche presenti nella diocesi di Torino, divise per continenti. Un’occasione importante per dare visibilità a realtà nate per favorire la vita religiosa dei migranti cristiani (in allegato i resoconti delle visite pubblicati su «La Voce E il Tempo»).

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Un’occasione, soprattutto, per riflettere su quell’auspicato percorso di accoglienza e integrazione che da anni sfida le comunità parrocchiali torinesi ad aprire le porte ai nuovi arrivati per crescere insieme.

Filippini, romeni, latino-americani, africani, brasiliani, albanesi, cingalesi, ucraini… si riuniscono settimanalmente o mensilmente in alcune chiese di Torino – guidati da sacerdoti incaricati dall’arcivescovo – per pregare insieme nella loro lingua, secondo le loro tradizioni. Ritrovarsi tra loro è importante, soprattutto per le persone di una certa età: portano una domanda religiosa ma sentono anche la necessità di fare rete, sostenersi.

L’integrazione nelle comunità parrocchiali dei quartieri in cui abitano è però difficile. Tra le cause, i diversi modi di celebrare e vivere la liturgia, lo scarso senso di appartenenza al territorio, la diffidenza e la chiusura da entrambe le parti. Intervistato sulle pagine del sussidio «Quaresima di Fraternità 2019» realizzato dalla diocesi di Torino, mons. Giancarlo Perego, ex direttore della Fondazione Migrantes e dal 2017 arcivescovo di Ferrara- Comacchio, sottolinea come la sfida delle migrazioni chieda alla Chiesa, alle nostre comunità «di diventare un laboratorio per costruire nuove prassi ed esperienze per arrivare a un processo condiviso e biunivoco di integrazione, che chiede non un semplice dono, ma uno scambio, non una omologazione culturale, ma un confronto».

Camminare insieme, per fare importanti passi avanti. «Anni fa ci si chiedeva come sarebbe stato possibile innestare la freschezza, la gioventù e l’entusiasmo dei migranti nelle nostre comunità, numericamente ridotte e povere di entusiasmo», spiega padre Ugo Pozzoli, coordinatore delle cappellanie etniche della diocesi di Torino, «Allora si è perso un treno che avrebbe potuto condurci ad altri risultati. Guardando alla poca integrazione che c’è stata, ci si rende conto che questa possibilità di rinnovamento è andata smarrita, con il risultato che oggi si vedono le comunità etniche diminuire di numero senza aver arricchito le nostre parrocchie».

Se le cappellanie sono nate per fare da collante tra i migranti cattolici e la Chiesa di Torino, lo sforzo delle comunità parrocchiali italiane per coinvolgere gli stranieri ed essere più «attrattive» non può prescindere dalla conoscenza dell’«altro». «Dobbiamo porci delle domande sul senso delle cappellanie oggi, su dove vanno e come aiutare la Chiesa di Torino a capire e conoscere queste realtà, perché non rimangano solo un servizio reso da alcuni sacerdoti», conclude padre Pozzoli. «La visita del vescovo può essere un’importante occasione per stimolare queste domande. Sarebbe un peccato se per paura di osare qualcosa di diverso continuassimo a chiuderci nelle nostre comunità, sia etniche che italiane. La vera cattolicità (universalità) della Chiesa non sta nel numero più o meno grande di comunità etniche, ma nella capacità di integrare la ricchezza di tutti nell’unica chiesa di Cristo».

Patrizia SPAGNOLO

(testo tratto da «La Voce E il Tempo» del 31 marzo 2019)

Calendario delle visite in allegato.

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