Con il beato Allamano la fede diventa missione

Il 16 febbraio la festa liturgica del fondatore dei Missionari della Consolata. Dal 13 un triduo

Inizia mercoledì 13 febbraio il triduo di preghiera che prepara alla festa liturgica del Beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Per tre giorni (il 13, 14 e 15) alle 18.40 presso la chiesa a lui intitolata, in corso Ferrucci 18 a Torino, si tiene una solenne celebrazione dei vespri accompagnata da una riflessione su «L’Allamano e la sua esperienza di fede». Sempre nella chiesa del Beato il 16 febbraio alle 11 il Vicario generale mons. Valter Danna presiederà una celebrazione e alle 15.15 presso la Sala dei Continenti, di via Cialdini 4, sempre a Torino, una riflessione a più voci con suor Teresa Edvige Agostino, padre Antonio Rovelli, Miryam Lucci e don Marco Prastaro. Al termine, alle 17, la Messa presieduta da padre Sandro Carminati, superiore Provinciale dei Missionari della Consolata.
 
Celebrazioni e riflessioni che nell’Anno della Fede evidenziano la particolare testimonianza di abbandono fiducioso alla volontà di Dio di un beato che ha fondato tutta la sua vita sul dono del Battesimo.
 
«La fede del beato Giuseppe Allamano – spiega suor Krystyna Jaciów, Missionaria della Consolata – inizia con il Battesimo. Il 21 gennaio 1851 nella casa di Famiglia Allamano a Castelnuovo c’era un clima di attesa: stava per nascere un bambino. La sera la signora Marianna diede alla luce il figlio. Il giorno dopo, il 22 gennaio alle 14, nella chiesa parrocchiale di S. Andrea, il piccolo ricevette il Battesimo e i nomi: Giuseppe Ottavio. La porta della fede si aprì ed egli iniziò il cammino di fede che durerà tutta la vita. È l’evento che l’Allamano, al risveglio della sua fede personale, ricorderà tutti gli anni con un senso di immensa gratitudine a Dio».
 
«Il buon Dio – si legge tra gli scritti del beato – pensò a me sin dall’eternità, quando nessuno pensava a me, neppure i miei genitori, che non esistevano. Vi pensò non per necessità o bisogno che avesse. Vi pensò per solo amore di me. Il buon Dio decretando di crearmi, stabilì nel tempo l’anno, il giorno in cui mi avrebbe dato l’essere, ed ogni altra circostanza. Ed eccomi nato il 21 gennaio del 1851, alle ore sei e mezzo di sera» (Conferenze S., vol. 3, 359-360). Celebrando un altro anniversario, l’Allamano diceva: «Vi ho radunati, come il padre coi suoi figli, per dirvi che ho ormai 62 anni, è una notizia bella, mentre è una grazia di Dio. Il Signore essendosi proposto da tutta l’eternità di crearci, stabilì il giorno e l’ora, la strada che avremmo dovuto battere; e per la medesima seminò le grazie che ci avrebbero aiutato a vivere bene, a santificarci ed a giungere felicemente al Paradiso. Ora dando uno sguardo al passato, posso con santa compiacenza rallegrarmi di avere ubbidito alla voce di Dio manifestatami dai Superiori e godo della certezza di aver sempre camminato per la via di Dio assegnatami. Perciò usai delle grazie sparse nel cammino, a mio ed altrui bene» (Conferenze P., vol. I, 489).
 
«Tra i tanti doni che l’Allamano ricevette – aggiunge suor Jaciòw – c’è anche il carisma di fondatore di due Istituti: i Missionari e le Missionarie della Consolata. Come gli Apostoli nel giorno di Pentecoste sono usciti fuori per annunciare Gesù, il Risorto, così l’Allamano ‘per fede’ (cf. Eb cap. 11) lasciò i progetti personali per realizzare il progetto di Dio, quello di ‘annunziare la sua gloria alle nazioni, alle isole più lontane’ (cf. Is 66,19) e aprire ‘la porta della fede’ a quelli che non conoscono ancora Cristo, il Salvatore. Per realizzare tale progetto, Giuseppe avrebbe voluto impegnarsi in prima persona nelle terre di missione, ma sappiamo che per lui andare fuori dei confini di Torino non fu possibile. Inoltre, egli avrebbe potuto dedicarsi ad altre attività, invece ‘per fede’ accolse e mise a servizio della Chiesa il carisma di fondatore».
 
«Un giorno – conclude la religiosa – fece alle sue missionarie questa confidenza: ‘Potrei starmene tranquillo: andrei fino in coro; poi me ne andrei a pranzo, poi leggerei un po’ la Gazzetta, e poi mi metterei a dormire un poco. Mi basterebbe star lì tranquillo, Rettore della Consolata, eppure…’ (Conferenze S., II, 556). Eppure l’Allamano si è scomodato, ‘per fede’; quella fede che dominò tutta la sua persona. Ci diceva: ‘Bisogna avere una fede viva, profonda, e di più, bisogna vivere di fede, aver vero spirito di fede. Questo deve dominare tutte le nostre cose. Chi vive di fede prende tutto dalla mano di Dio’ (Conferenze S., vol. 2, 441)».
 
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