La “ferita” delle Messe sospese: intervista all’arcivescovo di Torino

Pubblicata sul settimanale diocesano «La Voce e il Tempo» di domenica 1 marzo 2020

Riprendiamo qui di seguito l’intervista all’arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, mons. Cesare Nosiglia, pubblicata sul settimanale diocesano «La Voce e il Tempo» di domenica 1 marzo 2020 in riferimento all’emergenza corona-virus e la sospensione temporanea delle messe.

 

Eccellenza, non pochi fedeli hanno accolto con stupore e sofferenza le disposizioni dell’autorità civile di non permettere la celebrazione delle Messe. Rimproverano alla Chiesa – che ha accettato tali disposizioni – di aver compiuto un atto di debolezza…

Abbiamo accolto come diocesi del Piemonte le disposizioni richieste dalla Regione, perché rispettiamo le delibere dell’autorità civile e per garantire al massimo la salute dei cittadini, così come hanno fatto le Conferenze Episcopali della Liguria, della Lombardia e del Triveneto.

La Messa feriale, come sappiamo, è generalmente frequentata da un numero modesto di fedeli. Va pertanto detto onestamente che tale proibizione è una scelta che penalizza solo una componente della città, lasciando aperti altri spazi pubblici frequentati da numeri ben maggiori di cittadini. Mi riferisco ai mercati e supermercati, o al metrò e agli autobus e tram e così via… Sembra che i servizi alla popolazione possono essere garantiti perché essenziali, mentre quelli di ordine religioso vengano considerati superflui e dunque non esenti da provvedimenti restrittivi come si è fatto.

Le chiese comunque restano aperte: un fedele potrebbe chiedere di fare la Comunione anche senza la Messa, ma solo preparandosi con la preghiera?

Certamente, perché non si tratta di una funzione che coinvolge grandi numeri, ma esprime un desiderio personale di cibarsi dell’ostia consacrata; è permesso dalla Chiesa, in passato questa pratica era abbastanza usuale

La preghiera dei cristiani nelle chiese, come dei musulmani nelle moschee, non può essere di forte aiuto alla gente in questo momento difficile?

Certo, la preghiera sostiene il credente che trova in essa conforto e speranza. E il fatto di pregare Dio perché ci aiuti ad affrontare questa situazione e dia forza a coloro che ne portano le conseguenze produce certamente un frutto di bene grandissimo di cui può usufruire tutta la società.

Che cosa dice dunque ai fedeli e alle istituzioni?

Ai fedeli dico di accettare la scelta fatta come un modo certo imprevisto, ma significativo di quella penitenza quaresimale propria del tempo liturgico che iniziamo in questa settimana. Per chi è abituato a frequentare ogni giorno la sua parrocchia e fare la comunione è certamente un sacrificio non piccolo: ma può portare buon frutto se viene offerto al Signore.

Alle istituzioni dico di non sottovalutare la realtà religiosa confinandola nelle scelte personali e private e così dimenticando che essa invece ha una valenza pubblica, etica e sociale che aiuta molto non solo chi ne accoglie il valore, ma l’intera comunità cittadina. Questo senza togliere nulla ad altri servizi pure importanti.

Siamo all’inizio della Quaresima, che per i cristiani è il tempo forte di preghiera e preparazione alla Pasqua. Quale gesto, quale intenzione per la nostra città, visto anche che non si è potuto celebrare il Mercoledì della Ceneri se non alla domenica 1 marzo?

Ho deciso di recarmi nel santuario di Nostra Signora della Salute, in Borgo Vittoria, alle 12 del giorno delle Ceneri, per pregare la Vergine Maria che in questa chiesa è venerata da secoli come protettrice di Torino e della sua gente. Ci sono andato da solo, non essendo possibile convocare la popolazione.

Ho chiesto tuttavia che, in questo giorno di digiuno, le famiglie e gli istituti religiosi si radunassero in preghiera per impetrare l’aiuto della Madonna della Salute. Io stesso l’ho chiesto per le persone e i loro cari che soffrono per questa malattia, ma anche per tutti i fedeli della nostra Diocesi che devono rinunciare – speriamo per poco tempo – alle celebrazioni liturgiche; e per tutti gli abitanti del nostro territorio. Anche la «prova» che questa malattia obbliga a sentirsi coinvolti, può diventare un’occasione preziosa di maggiore solidarietà e fraternità per tutti noi.

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