No Tav. Mons. Nosiglia: isolare gli estremisti, ma ascoltare la gente

Intervista dell'Arcivescovo a «Radio Vaticana» e al tg Rai di venerdì 2 marzo

Rilanciamo di seguito l’intervista rilasciata da mons. Cesare Nosiglia ai microfoni di «Radio Vaticana» nel pomeriggio di giovedì 1° marzo. Sul sito della Radio è possibile ascoltare anche l’audio.
 
In allegato l’audio dell’intervista andata in onda venerdì 2 marzo su Radio Rai3.
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Riaperta al traffico l’Autostrada Torino-Bardonecchia, bloccata da lunedì mattina per le proteste del movimento «No Tav» che si oppone alla realizzazione della ferrovia ad alta velocità Torino-Lione nella Val di Susa. Ieri sera, violenti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine con un numero imprecisato di feriti. Stamani, il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, ha ribadito che «la violenza non sarà tollerata». Sulla drammatica situazione nella valle piemontese, Luca Collodi ha intervistato l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia.
 
R. – Innanzitutto desidero esprimere la mia vicinanza a Luca Abbà che in questo momento è in gravi condizioni all’ospedale. Mi auguro che possa guarire presto e per questo prego Dio, per lui, per i suoi famigliari, che gli sono accanto, e per quanti condividono la sua sofferenza. Poi, credo che quanto sta accadendo in tutta Italia, da parte di gruppi che contestano la Tav, vada oltre il puro, complesso e spinoso problema che interessa la Val di Susa, il Piemonte, e segnali un disagio sociale più vasto, che sta crescendo in seguito anche alle difficoltà che derivano dalla crisi economica che stiamo attraversando. Credo che proprio dentro questo contesto più ampio si inseriscono frange che fanno della violenza e della lotta contro lo Stato il loro obiettivo, strumentalizzando la questione vissuta in Val di Susa. Mi permetto di rivolgere un forte invito ai cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà che abitano in Val di Susa affinché operino per abbassare la tensione che genera contrapposizioni, scontri violenti, isolando gli estremisti e riaffermando le proprie ragioni ma attraverso quelle vie legali, pubbliche, che la nostra democrazia offre.
 
D. – La sensazione è che emerga proprio l’assenza della mediazione della politica…
 
R. – Credo che per un po’ di tempo, certamente, c’è stata questa mancanza, questo pendolarismo ondeggiante della politica tra il sì e il no, almeno in certe forze politiche. Ma mi pare che da un certo tempo in avanti, in questi ultimi anni, la politica ha cercato la mediazione e pur di fronte a valutazioni differenti circa la positività o meno dell’opera, sia per lo più contraria a ogni forma di comportamenti violenti e illegali che poi si ritorcono di fatto contro quanti manifestano pacificamente e legittimamente. La cosa più negativa sarebbe che la politica e le istituzioni non manifestassero posizioni chiare e concordi contro ogni forma palese o larvata di legittimazione della violenza. La cosa più positiva da parte della politica resta l’impegno di sostenere un serio e continuo dialogo con la popolazione locale che è quella più interessata e coinvolta nell’opera, nel tentativo, certamente difficile, ma non impossibile, di mediare di fronte a una situazione complessa.
 
D. – In questa situazione quale, invece, può essere il ruolo della Chiesa piemontese?
 
R. – Riconosco, e va riconosciuto da tutti, alla Chiesa locale di Susa, al suo vescovo, come agli organismi regionali, che hanno assunto una posizione di grande equilibrio. Credo che sia compito della Chiesa proprio quello di richiamare tutti a trovare vie di soluzione a problemi complessi, nell’attenzione alle varie posizioni in causa ma favorendo sempre il rispetto della legalità, il dialogo non teorico sui principi ma su fatti, su problemi, su esigenze concrete della gente, con uno spirito aperto al confronto basato sul reciproco ascolto e sulla collaborazione libera da posizioni di puro stampo ideologico, ovviamente.
 
D. – Questa vicenda pone un’altra riflessione e cioè la difficoltà tra un potere nazionale ed un potere europeo e un sentire locale che non coincidono per niente, non è l’unico caso…
 
R. – Ha ragione, non è l’unico caso, perché succede ed è successo in tante parti che i programmi nazionali e sovranazionali a volte confliggano con quelli locali. Allora in questo caso è necessario che si attivino tutte quelle vie democratiche perché si giunga a soluzioni che non passino sulla testa della gente senza averla ascoltata e per quanto possibile ne accolgano le osservazioni, le indicazioni. Mi pare che in Val di Susa è da oltre 20 anni che ci si trova di fronte a questo problema per raggiungere un punto di incontro che salvaguardasse l’habitat e la salute dei cittadini e desse risposte appropriate alle varie obiezioni sollevate dalla popolazione. A questo punto, però, esiste una decisione che gli organi preposti dello Stato hanno preso e credo che alla fine bisognava che qualcuno dovesse decidere per non trascinare avanti all’infinito un problema del genere. Questa decisione può essere certamente in modo legittimo contestata ma con metodi democratici e civili, privi di ogni forma di violenza, sia verso i lavoratori che operano nel cantiere, sia verso le forze dell’ordine, che devono far rispettare la legge a tutti nel territorio. Tuttavia resta sempre decisivo che l’opera, se si farà, dovrà corrispondere a tutte quelle garanzie che le popolazioni locali hanno più volte espresse e documentate nelle diverse sedi istituzionali.              (bf)
 
 
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