Quella apertura al “mondo”

Missione e cooperazione internazionale: un terreno di corresponsabilità ecclesiale

Sviluppo e Pace, Quaresima di Fraternità: decollarono a Torino sull’onda lunga del Concilio. I laici davano prova di sapersi mobilitare

 
 
Quarant’anni fa, fra il novembre e l’8 dicembre 1965, Paolo, Vescovo della Chiesa di Roma, promulgava quattro Costituzioni dogmatiche e pastorali, nove Decreti, tre Dichiarazioni ed una serie di Messaggi che insieme rappresentano l’eredità del Concilio Ecumenico Vaticano II e che avrebbero dovuto dare alla nostra Chiesa quel rinnovamento per cui il Concilio era stato promosso.
 
Una prima osservazione: in queste settimane e mesi, in occasione del 30° anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, ci sono state riproposte fino alla noia le sue opere e le sue idee, con trasmissioni, film, mostre, conferenze, dibattiti, articoli. Non meriterebbe di più e di meglio la commemorazione del Concilio? Io non vorrei altrettanta ufficialità, ma piuttosto una riflessione, un dibattito e un confronto in tutte le nostre comunità, parrocchie, gruppi, ma anche in ciascuno di noi credenti, anziani e giovani, per verificare se siamo stati coerenti ai tanti messaggi e, per esempio:
 
«La Chiesa non pone le sue speranze nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi, essa stessa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni. … è suo diritto predicare la fede .. e dare il suo giudizio morale …e questo farà utilizzando tutti e soli quei mezzi che sono conformi al Vangelo e al bene di tutti». (Gaudium et Spes 76).
 
– Con il Concilio… «questa secolare società religiosa che è la Chiesa, ha cercato di compiere un atto riflesso su se stessa, per conoscersi meglio, per meglio definirsi, e per disporre di conseguenza i suoi sentimenti e i suoi precetti… Ma questa introspezione non è stata fine a se stessa… la Chiesa si è raccolta nella sua intima coscienza spirituale, non per compiacersi di erudite analisi di psicologia religiosa o di storia delle sue esperienze, ovvero per dedicarsi a riaffermare i suoi diritti e a descrivere le sue leggi, ma per ritrovare in se stessa vivente ed operante, nello Spirito Santo, la parola di Cristo, e per scrutare più a fondo il mistero, cioè il disegno e la presenza di Dio sopra e dentro di sé, e per ravvivare in sé quella fede, ch’è il segreto della sua sicurezza e della sapienza, e quell’amore che la obbliga a cantare senza posa le lodi di Dio» (Paolo VI).
 
Riflessioni
La riflessione che io sogno non può prescindere dal ricordare con quanta passione noi giovani di allora vivemmo quegli anni. Perché il Concilio è durato quasi sette anni (annunciato il 25 gennaio 1959, fu chiuso l’8 dicembre 1965) e quasi tutti i documenti finali furono preceduti da bozze (schemi) anche molto diverse dalla conclusione, che erano via via divulgate ed oggetto di appassionate discussioni.
Contemporaneamente, papa Giovanni XXIII ci regalò due memorabili encicliche: Mater et Magistra nel maggio 1961 e Pacem in Terris nell’aprile 1963. Contenevano tanti capitoli nuovi, come l’azione di riequilibrio e di propulsione nelle zone in via di sviluppo; l’esigenza di giustizia nei rapporti tra Paesi a sviluppo economico di grado diverso; la collaborazione sul piano mondiale; la condanna della guerra.
 
E Torino (novembre 1965) riceveva in dono anche la nomina del nuovo arcivescovo: Michele Pellegrino!
In una Chiesa con un’associazione di Azione Cattolica in quasi tutte le parrocchie, tali avvenimenti stimolavano una viva partecipazione, sia tra i fedeli credenti che con tanti «uomini di buona volontà». L’Azione Cattolica ci aveva formati alla responsabilità: i nostri assistenti avevano fiducia in noi, approvavano il nostro spirito d’iniziativa e ci incoraggiavano ad operare con libertà . Non ci siamo mai sentiti sudditi, e il Concilio ci confermava che ogni membro del corpo di Cristo che è la Chiesa, pur nella diversità dei carismi e delle responsabilità, ha pari dignità.
 
Mondialità, negli anni ’60
Partecipavo allora ad un gruppo costituitosi nei primi anni ’60 nella Giunta diocesana di Azione Cattolica e nei Consigli delle Conferenze di San Vincenzo, che si sforzava di capire che cosa stesse succedendo nel mondo. Il principale animatore del gruppo era Giorgio Ceragioli. Va menzionato che dopo la data simbolica della riscossa pacifica dei popoli afro-asiatici-latino americani, coincidente con la Conferenza di Bandung (aprile 1955) dove fu coniato il termine e il concetto di «Terzo mondo», affamato e sottosviluppato, contrapposto al primo (occidentale) e al secondo (socialista), crescevano in molti diverse preoccupazioni: come affrontare i problemi della fame e del sottosviluppo, per la società e per le Chiese; come evitare di contrapporre la carità alla giustizia; prendere coscienza politica della situazione internazionale; scegliere quali interventi concreti ed importanti adottare; ecc.
 
Tutti gli schemi conciliari ci confermavano che… «tra i segni del nostro tempo è degno di speciale menzione il crescente ed inarrestabile senso di ‘solidarietà’ di tutti i popoli, che è compito dell’apostolato dei laici promuovere con sollecitudine …. I laici inoltre debbono prendere coscienza del campo internazionale e delle questioni e soluzioni sia dottrinali sia pratiche che sorgono in esso, specialmente per quanto riguarda i popoli in via di sviluppo». (Decreto sull’apostolato dei laici n.14).
 
Così stimolati, alcuni cristiani costituirono il Comitato Borse di studio per studenti afro-asiatici, e subito dopo altri fondavano il Centro Genti e Culture. Ma soprattutto veniva costituito (1962) il Centro Cattolico Torinese contro la fame nel Mondo, impegnato a proporre a tutta la Chiesa di Torino ma anche alla società civile la prima Quaresima di Fraternità (1963), che ebbe subito una grandissima adesione.
 
Il Concilio premeva tuttavia per allargare la collaborazione: «Si sforzino i cattolici di cooperare con tutti gli uomini di buona volontà nel promuovere tutto ciò che è vero, tutto ciò che è giusto, tutto ciò che è santo, tutto ciò che è amabile. Entrino in dialogo con essi, prevenendoli con prudenza e gentilezza, promuovano indagini circa le istituzioni sociali e pubbliche per portarle a perfezione secondo lo spirito del Vangelo» (stesso Decreto).
Così cinque anni dopo, a fine 1967, veniva fondato il Movimento Sviluppo e Pace, basato sulla Carta dell’Onu, sulle Encicliche papali, sul pensiero di Gandhi e non più confessionale. Eppure con il mandato della diocesi di continuare ad animare le Quaresime di Fraternità!
 
Quaranta anni dopo…
La nostra società e la Chiesa con essa sono cambiate profondamente, in tutti gli aspetti. Anche i problemi del cosiddetto «Terzo mondo» sono oggi ben noti all’opinione pubblica, magari non sempre correttamente approfonditi ed affrontati con rispetto: basta citare i temi dei diritti umani; la non violenza e la partecipazione della base; la giustizia, la solidarietà, lo sviluppo sostenibile; l’autosviluppo; le nuove tecnologie; la salvaguardia del Creato…
Ma occorre dare un’anima al futuro (che è anche il titolo di una raccolta di scritti di Giorgio Ceragioli). Non basta l’informazione sui problemi mondiali (fame, malattie, disastri, casa, analfabetismo, discriminazione, guerre, emigrazione…) e occorre chiedersi perché il divario fra le nazioni aumenta e perché la lotta al sottosviluppo è fallita, anche se l’assetto internazionale è ancora in continuo e profondo cambiamento. Drammatico poi è il divario crescente circa le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
 
Forse oggi, soprattutto nel contesto mondiale, dobbiamo superare il nostro provincialismo e porci alla ricerca di valori comuni, con altri popoli e altre culture. Un confronto serio richiede però che sia affrontato senza pregiudizi, con la disponibilità a riconoscere valori diversi da quelli per noi tradizionali.
Un’altra osservazione: dall’inizio del Concilio, sono cresciute due generazioni. Che cosa facciamo perché conoscano quelle conclusioni e siano stimolate ad attuarle, con la partecipazione, anche sui temi della mondialità?
 
Nella Chiesa su questi temi, come mi sembra su tanti altri, il dibattito è pressoché inesistente e spesso anche le indicazioni operative sono «clericalizzate», affidate alla gerarchia, chiamando i laici credenti solo per applicarle. Non sarebbe più opportuno correre qualche rischio di diversità e pluralità di opinioni, piuttosto che constatare l’assenza di ogni opinione? Non mancano solenni discorsi, importanti documenti e allocuzioni o esempi di grande carità: ma la parrocchia, piccola Chiesa, non può vivere i problemi del mondo (lontano e vicino) solo in qualche occasione! Dovrebbe aprire la mente, saper vedere e ascoltare, partecipare alla fatica di vivere di tanti uomini di questa nostra terra.
 
«In questi decenni dopo il Concilio, i cattolici hanno fatto indubbiamente grandi passi nell’acquisizione di una maturità della fede, di una assiduità con la parola di Dio contenuta nella Bibbia… ed è vistoso il loro impegno nel servizio agli ultimi e ai poveri. Tuttavia… il giudizio di molti, all’interno e all’esterno della Chiesa, individua una situazione a volte tranquilla, altre volte stagnante, altre ancora silente, con un laicato che non ha voce e appare soffrire di sottoesposizione. Ci sono tante parole, forse anche troppe, perché si sono moltiplicati gli incontri ecclesiali con dimensioni oceaniche, ma si sono rarefatti gli spazi di dialogo e di confronto… Chi ha conosciuto il postconcilio ricorda certo le forti tentazioni, cui a volte si è anche ceduto, di contestazione e di contraddizione della comunione ecclesiale, ma ricorda anche il coraggio, la passione, la volontà di esercitare la propria responsabilità nella vita ecclesiale… A volte mi chiedo se i canali di comunicazione non si siano intasati rendendo impraticabile lo scambio dialogico tra i cristiani e tra i fedeli e l’autorità ecclesiale. Questo dato non dovrebbe rallegrare nessuno, neanche chi come guida è chiamato a svolgere un magistero, perché questa acquiescenza non significa maggiore obbedienza cristiana, né maggior senso della comunione: appare piuttosto come pigrizia spirituale, come mancanza di ricerca, come delusione patita nel tentativo di discernere volti della Chiesa più conformi al Vangelo» (Enzo Bianchi).
 
Ho trascritto questa lunga citazione perché rispecchia anche la mia preoccupazione: che le nuove generazioni non trovino sufficienti spazi di impegno responsabile, anche nelle tematiche dello sviluppo, della giustizia e della solidarietà internazionale. Eppure, le oltre 500 pagine dei testi conciliari sono una miniera a cielo aperto, solo ritornassimo a rileggerle!
 
«Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistarsi una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano ad identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e le realizzino. Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino la luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta o che proprio a questi li chiami la loro missione: assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero.
Per lo più sarà la stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe circostanze, a una determinata soluzione. Tuttavia altri fedeli altrettanto sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, ciò che succede abbastanza spesso e legittimamente» (Gaudium et Spes, n.43)
 
Tante novità del Concilio ecumenico Vaticano II meritano davvero di essere finalmente scoperte come precisi indirizzi nelle scelte politiche e quotidiane di ogni cristiano e di tanti altri compagni di strada.
 
«Nei Paesi dell’Est, il socialismo reale ha fatto distruggere il 95% delle chiese. La nostra vera esigenza sarebbe quella di costruire altre chiese nelle città italiane, ma impieghiamo troppo tempo e rischiamo di arrivare in ritardo: servono persone preparate, integrate nella cultura locale, e i nostri fedeli hanno di solito problemi più urgenti rispetto alla costruzione di una nuova chiesa».
 
Per la parrocchia ortodossa greca di Torino (Natività di San Giovanni Battista) – frequentata anche da molti romeni, moldavi, albanesi, serbi e bulgari – parla il parroco, padre Iossìf Restagno. La comunità è ospitata presso la chiesa della Ss. Annunziata dell’Antico istituto delle Povere Orfane di Torino, in via delle Orfane 11. Interrogato sulle eventuali «insidie dottrinali» presentate dai nuovi movimenti religiosi Restagno risponde: «le insidie dottrinali sono presenti in tutti coloro che non fanno parte della Chiesa e che propagandano le loro idee diffondendole tra i cristiani. Il vero pericolo è separarsi dalla Chiesa, anche inavvertitamente, come nel caso di coloro che, pur non distaccandosene ufficialmente cominciano ad accettare la possibilità della reincarnazione a scapito dell’Incarnazione e della Risurrezione; oppure accettando una separazione fra il Cristo storico e quello della Chiesa; oppure ancora, accettando di ridurre Cristo a un profeta, smettendo cioè di credere che Egli è al 100% Dio e al 100% uomo». «Coloro che vivono da molto tempo in Italia e non hanno più avuto contatti con la Chiesa ortodossa – aggiunge padre Restagno – tendono un po’ per volta ad accettare un certo relativismo religioso, ridotto ad una pratica formale e conformista».
 
«Nel rapporto con i nuovi movimenti religiosi non si pone un problema di pastorale, ma di spiritualità; un problema di sostanza, e non di tecniche o di strategie – conclude padre Restagno – Bisogna fare in modo che risplenda la qualità spirituale che Dio ha deposto nella Chiesa; se tutti i cristiani vivessero intensamente il cristianesimo, la gente non avrebbe dubbi di scelta fra la Chiesa e una sètta (…). Non possiamo accontentarci della validità dei sacramenti, dobbiamo permettere loro di essere efficaci fino in fondo. La Chiesa ortodossa ha sempre ritenuto che i sacramenti senza cooperazione umana, non producono quei frutti per cui Dio li ha istituiti (…). La Pentecoste è sempre presente nella Chiesa, basterebbe smettere di ostacolarla con l’egoismo, l’orgoglio, i peccati. È nella preghiera che la vita nello Spirito di Dio si fortifica. Essa è la prima e la meno sostituibile forma di azione. L’uomo che sperimenta l’unione con Dio, trae dal suo cuore buono cose buone e le sue opere risplendono. È così che gli uomini riconoscono la Verità dal suo stesso splendore, non da una nostra presentazione accompagnata da argomenti convincenti o accattivanti».
 
Edo GORZEGNO
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